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Una serata al My Dream

Articolo pubblicato il 2 Dicembre 2019, Scritto da Carlo Tassi

Tempo di lettura: 6 minuti


One Step Beyond (Madness, 1979)

Un sabato mattina del 1981, in una villetta alla periferia di Ferrara…

“Una manica di stronzi, questo siamo!” esclama Marco.
“Ma che dici… ci divertiremo vedrai” dice Ruggy.
“Cavolo, ma come abbiamo fatto ad accettare?” chiede Marco.
“Avevamo fumato” dico io.
“Dici che è stato per quello?” chiede Ruggy.
“Ovvio, è stato il pistone che hai portato tu. Ce l’eravamo appena fumato che poi è arrivata mia sorella… C’ha fatto la proposta che io nemmeno avevo capito da com’ero messo… Ma c’hai pensato tu a dirle subito di sì a nome di tutti… e vantandoti pure” dico io tra il polemico e il rassegnato.
“Ed eravamo tutti così ridotti in merda ieri sera?” chiede Marco.
“Sì… e poi mettici anche le tre bozze di Nastro Azzurro” risponde Ruggy.
“E tua sorella… dici che se n’è accorta?” mi chiede ancora Marco.
“No no non se n’è accorta, sennò lo saprei” rispondo io, anche se non ne sono tanto sicuro.
“Comunque le abbiamo detto di sì, e adesso siamo alla merda” conclude Marco.
Trascorrono alcuni attimi di pensieroso silenzio.
“Mannò dai che ci divertiamo” dice Ruggy con ghigno ottimista.
Marco è scettico, “Ci prenderanno per il culo a vita” dice con una smorfia.
“Certo che sei un rompicoglioni però!” sbotta Ruggy.
“Dovevamo inventarci una scusa” sospira Marco sempre meno convinto.
“Ormai è tardi ragazzi, io non mi tiro indietro… poi sarà pieno di gnocche!” dico io pensando già a Rosalba.
“Di tarde soprattutto… dobbiamo stupirle!” aggiunge Ruggy.
“Faremo una gran figura di merda, altroché stupirle” insiste Marco.
“Che palle Marco! Smettila che magari stasera si tira su qualcosa!” lo zittisce Ruggy…

Baggy Trousers (Madness, 1980)

Adesso torniamo indietro alla sera di venerdì:
Ci troviamo in taverna da me. Abbiamo mangiato pizza, bevuto birra e ci siamo pippati il mega cannone di Ruggy per digerire in perfetto relax. Nel frattempo abbiamo messo su un po’ di musica e stiamo tentando di fare la solita partita a Risiko del venerdì.
Il punto è che non siamo nella condizione più adatta a giocare alla guerra. “Peace and love” ripete Ruggy mentre sistema i suoi carrarmatini sulla Kamchatka, ha gli occhi lucidi e lo sguardo languido. Marco non smette di ridere, e ride proprio per il fatto che non riesce a capire perché ride. Io invece sto subendo un picco di sonnolenza acuta che mi fa straparlare, ho gli occhi chiusi anche se credo di vederci benissimo e penso di distribuire i carrarmatini nei miei territori… in realtà sono immobile, e sto bisbigliando con me stesso parole a vanvera in uno stato di torpore quasi catatonico.
È proprio in questo momento di eclatante fattanza che piomba in taverna mia sorella. “Ciao ragazzi, posso chiedervi un favore? Domani sera c’è una serata a tema al My Dream, io e i miei amici siamo tutti là. So che avete fatto una festa ska la settimana scorsa. Ci prestereste qualche disco dei vostri?” chiede.
Io e gli altri, dopo un attimo di comprensibile smarrimento, cerchiamo a fatica di riprendere quel poco di lucidità sufficiente a sviare eventuali sospetti riguardo l’assunzione di sostanze illecite – ma quando mai… – ed è proprio Ruggy il primo di noi a parlare. “Perché no, certo! Di dischi ska ne abbiamo un sacco… praticamente tutte le band noi ce l’abbiamo. Noi stessi siamo ska!” garantisce.
“Fantastico! Ce li avete i Madness?” chiede entusiasta mia sorella.
“Abbiamo Madness, Specials, Bad Manners, Selecter, tutto quello che vuoi!” rassicura Ruggy.
“Perfetto! Sentite, e se oltre a prestarci i dischi veniste anche voi? Mio fratello m’ha detto che eravate tutti vestiti ska alla vostra festa. Potreste vestirvi così anche domani sera…” propone mia sorella.
Prima che io o Marco riusciamo a dire qualcosa, Ruggy esclama: “Volentieri Rosy! Veniamo a farvi vedere come si balla lo ska!”
Mia sorella sorride soddisfatta poi punta il dito su di me, “Son sicura che se l’avessi chiesto a mio fratello avrebbe tirato fuori un sacco di scuse per non far niente… Fortuna che i tuoi amici son più gentili e disponibili di te, caro fratellone!” dice.
“Ma… non ho ancora aperto bocca” dico io, un po’ confuso in verità.
“Vabbè, allora siamo d’accordo. Domani fatevi trovare alla villa per le ventuno… e non dimenticatevi i dischi eh!” si raccomanda lei.
Non sono del tutto sicuro di cosa sia appena successo, “Viene anche Rosalba domani sera?” chiedo quasi senza pensarci.
“Credo di sì… viene col suo ragazzo!” risponde mia sorella, non senza malizia.
Alla fine saluta tutti e ringraziandoci un’ultima volta se ne va…

Come detto, questo accade la sera precedente!

Night Boat To Cairo (Madness, 1979)

Ora siamo di nuovo a sabato, durante la discussione iniziale:
Sono le undici del mattino, ci troviamo tutti e tre sempre in taverna e siamo in seria difficoltà.
Stiamo decidendo una volta per tutte se andare o inventarci una scusa per non andare.
Gli ultimi dubbi ce li toglie proprio mia sorella che si palesa in taverna come la sera prima. “Ciao ragazzi! Ieri sera ho parlato di voi alle mie amiche… non vedono l’ora di conoscervi e di vedervi ballare lo ska!” dice.
Mia sorella, fresca ventiseienne, ha appena concluso il suo capolavoro di persuasione. In fondo, convincere tre adolescenti allampanati e con gli ormoni sempre all’erta a fare qualcosa, promettendo un bagno di fi… di folla, è un po’ come attirare un orso verso il miele: un giochino dall’esito scontato.
Così ci guardiamo in faccia e ci ripromettiamo di mantenere l’impegno preso senza più riserve.
Prima d’uscire mia sorella s’avvicina e mi dice: “Apri un po’ la finestra che c’è ancora odore d’erba da ieri sera… Se entrano il papà o la mamma, si sballano pure loro!”
“Va bene!” faccio io mentre le mie orecchie prendono improvvisamente fuoco.
“Allora se n’era accorta…” osserva Marco dopo che mia sorella se n’è andata.
Improvvisamente si spalanca di nuovo la porta. Stavolta appare mia nonna, saluta i miei amici, si guarda attorno e dice: “Cus’el st’udor? Am par origan!”
“Esatto nonna! È l’origano delle pizze di ieri sera… ne abbiamo messo così tanto che quello che è avanzato ce lo siamo fumato!” rispondo io prontamente.
Finalmente usciamo anche noi tre, appena fuori scoppiamo a ridere…

– Da quel giorno mia nonna si convinse che l’origano si poteva fumare come il tabacco ed io, vigliaccamente, non le ho mai detto che avevo soltanto fatto una battuta –

Quel sabato sera, al My Dream, esordimmo ballando lo ska sulle note dei dischi che avevamo portato. Vestiti con giacca e pantaloni neri a tubo, camicia bianca e cravattino sottile, scarpe lucide, occhiali scuri alla blues brothers e cappellino pork pie, ci muovevamo saltando a ritmo come dei veri rude boys.
Con nostra grande sorpresa l’esibizione fu assai apprezzata. Fummo sommersi di complimenti e alla fine anche gli amici più imbalsamati di mia sorella, divertiti dalla nostra performance, vollero conoscerci e offrirci da bere.
Inutile dire che, delle numerose tarde presenti nel locale, sorrisi a parte, non ci filò assolutamente nessuna.
Era ormai notte fonda quando tornammo a casa in sella alle nostre vespe. Eravamo stanchissimi, mezzi ciucchi di gin tonic e cuba libre bevuti a sbafo, col due di picche scritto in faccia e tuttavia soddisfatti di noi stessi.
Nessuno dei nostri amici seppe mai veramente cosa fossimo andati a fare quella volta al My Dream. “Eravamo curiosi e ci siamo intrufolati…” dicemmo a tutti, “Il posto sarebbe carino, ma è pieno di trentenni e passa… Decisamente un locale di vecchi!”

In fondo era proprio questo il bello d’avere diciassette anni…

Our House (Madness, 1982)

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Carlo Tassi

Ferrarese classe 1964, disegna e scrive per dare un senso alla sua vita. Adora i fumetti, la musica prog e gli animali non necessariamente in quest’ordine. S’iscrive ad Architettura però non si laurea, si laurea invece in Lettere e diventa umanista suo malgrado. Non ama la politica perché detesta le bugie. Autore e vignettista freelance su Ferraraitalia, oggi collabora e si diverte come redattore nel quotidiano online Periscopio. Ha scritto il suo primo libro tardi, ma ha intenzione di scriverne altri. https://www.carlotassiautore.altervista.org/


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani