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un sogno blu

uno spettacolo teatrale itinerante dedicato alla memoria di Giuliano Scabia

diretto da Michalis Traitsis – Balamòs Teatro

con gli allievi del laboratorio del Centro Teatro Universitario di Ferrara:
Michela Arcidiacono, Giuseppe Cota, Leily Fazeli, Giacomo Ippolito, Lorenzo Trevisani e la partecipazione di Naim Sani
l’evento si svolgerà all’aperto nel rispetto delle misure vigenti di prevenzione e contenimento della diffusione del virus covid19

Giovedì 15, Venerdì 16 luglio 2021 – ore 20.15
Centro Teatro Universitario di Ferrara (via Savonarola 19)

ingresso riservato su prenotazione: 328 8120452

“Quando coi matti, i dottori, gli infermieri, i volontari, gli studenti, i cittadini di Trieste abbiamo fatto il Cavallo Azzurro – Marco Cavallo – ero un poeta in azione insieme a tanti altri – cantavamo e ci in-cantavamo – cercavamo insieme di mettere in moto il tremito della vita risorgente, della dignità, della speranza. Cos’altro deve fare la poesia? Marco Cavallo è una poesia azzurra scritta insieme – un poema epico fatto da tanti umili “omeridi”, tutti in-cantati” Giuliano Scabia.

Lo studio teatrale di questo anno, così complesso per tutti, è iniziato quasi in sordina durante la grigia cappa delle chiusure, dei distanziamenti, degli isolamenti personali e collettivi. In qualche modo è stato una sorta di salvagente che ci ha aiutato a reggere le continue onde d’urto, costringendoci comunque a riflettere, a interrogarci, a sostenerci, senza abbassare del tutto le saracinesche della mente. Ci ha permesso di lavorare insieme, avvicinandoci a due tipi di creatività, come diceva Giuliano Scabia: quella che la professione di artisti obbliga ad avere e quella che nasce dal confronto continuo con la realtà. Una realtà a volte difficile da comprendere, ma pur sempre da vivere con in-canto.

E mentre già si costruiva la tela composita delle improvvisazioni su un altro tema, è arrivata la notizia dell’ultimo viaggio di Giuliano, maestro del teatro e della poesia, sperimentatore incessante e visionario. E così il percorso si è quasi delineato da sé, nel desiderio di salutarlo con uno studio dedicato a Marco Cavallo, una delle sue creazioni più importanti, non solo per il prodotto finale ma soprattutto per la tenace intenzione di modificare e di vestire di poesia e bellezza una realtà umana così sofferente, come quella dell’istituzione manicomiale.

La storia, ormai nota, di Marco Cavallo è iniziata il giorno in cui Franco Basaglia, da poco nominato direttore del manicomio di Trieste, decide di dedicare uno spazio della struttura a laboratori di teatro e di pittura, invitando alcuni artisti, tra cui appunto Scabia. Uno spazio libero per inventare, per realizzare qualunque progetto avessero in mente, purché insieme ai pazienti: insieme alla loro incredulità, ai loro entusiasmi, alle loro resistenze e alla loro voglia di mettersi in gioco, nonostante anni di internamento. Il sogno di Scabia era quello di costruire un grande oggetto, ma soprattutto di comunicare quotidianamente ciò che succede nei reparti e all’esterno attraverso il teatro vagante, un carrettino di fortuna in cui vengono trasportati e diffusi volantini e materiali indispensabili per le attività.

Marco Cavallo ha preso forma, il suo grande ventre è stato immaginato come contenitore di sogni e desideri ed è diventato il simbolo di tutti gli esclusi, della possibilità di cambiamento, di un altro squarcio di vita possibile, di superamento della diffidenza verso il “diverso”, di trasformazione di solitudini in affresco collettivo.

Non è mai facile o immediato per i ragazzi di questo tempo tuffarsi in un altro tempo, peraltro così differente. Tuttavia, l’obiettivo del Centro Teatro Universitario è quello di essere un laboratorio di formazione umana. Per questo è indispensabile e fecondo coltivare la Memoria, che è conoscenza, studio, curiosità: in una parola ricerca, termine abusato ma imprescindibile in un ambiente universitario.

E indispensabile è anche accostarsi ai Maestri, che ci hanno consegnato insegnamenti e visioni. E Giuliano Scabia, maestro, lo è stato fino in fondo: nel suo modo gentile e festoso di consegnarci poesia e teatro, nel suo rigore nell’ascolto, nel suo raccontare comunità parlanti ai margini del mondo, nell’avere sempre in mente la coralità che è il fine di ogni esperienza teatrale. Provando sempre a guardare oltre e andando oltre. Perché prima occorre ascoltare l’anima dell’attore, farla emergere e solo dopo si può indossare la maschera del personaggio.

Michalis Traitsis

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