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Nella mia mente l’immagine di Ippolito Pizzetti (1926 – Ferragosto 2007) è quella di un signore anziano che osserva una palla di salice intrecciato in un banco, ad una gloriosa edizione di “Giardini in Fiera” a San Casciano Val di Pesa. Uno scatto rubato: in quegli anni non avevo un rapporto positivo con questo personaggio, per cui lo fotografai in modo garibaldino e non lo andai a salutare come invece avrei dovuto, per educazione e rispetto, nei confronti di una persona che aveva vissuto per diffondere la cultura dei giardini in Italia.
Non era un architetto come viene definito grazie a una laurea honoris causa conferitagli nel 2004 dall’Università di Ferrara, ma un uomo di lettere preso in prestito, prima dalla botanica e poi dall’architettura. Pizzetti è stato soprattutto un grande divulgatore e il suo mezzo è stata la parola scritta. Tantissimi i titoli, i miei preferiti rimangono i primi, ormai dei veri e propri classici: Il libro dei Fiori, opera in tre volumi scritto alla fine degli anni ’60 con Henry Cocker, botanico e giardiniere, che si può trovare edito in una versione quasi tascabile nelle Garzantine come: Enciclopedia dei Fiori e del Giardino e Pollice Verde, la raccolta di articoli, pubblicati dagli anni ’70 in poi sull’Espresso nella omonima rubrica, poi cambiata con “Giardini” a lui più gradito, che Garzanti ha ristampato dalla vecchia edizione Rizzoli (che si trova ancora in rete) allargando il titolo in: Pollice Verde. Il giardinaggio: una filosofia, un hobby, un’arte. Inoltre, rimangono fondamentali le collane da lui dirette: “L’Ornitorinco” per Rizzoli e “Il corvo e la colomba” per F. Muzzio, in cui troviamo, tradotti in italiano, alcuni testi base della moderna cultura europea del paesaggio.
Pizzetti era un uomo che amava le parole e le usava per costruire giardini. Attentissimo sulla carta stampata, divagava in mille direzioni durante lezioni e conferenze. Trovavo insopportabile questa sua caratteristica, io cercavo risposte, lui vendeva poesia e ho dovuto invecchiare un bel po’ per capire. Non mi piaceva il culto della persona che lo circondava all’interno delle università e dei circoli che lo contendevano come ospite d’onore. Dov’è finita tutta questa attenzione? La voce di Wikipedia a lui dedicata è di uno squallore vergognoso, bisognerà metterci le mani per rimediare. Purtroppo il fascino della persona e la mancanza di un vero dibattito sulle pratiche del Verde pubblico e privato, hanno amplificato tutto quello che Pizzetti detestava e oggi troviamo, nel titolo di un suo libro, la parola “giardinaggio” affiancata a sostantivi come “filosofia, hobby, arte”, termini che lo individuano come un argomento destinato a una élite che si parla addosso o qualcosa da fare nel tempo libero, di sicuro non lo specificano come un modo di essere di chi dovrebbe conoscere, amare e vivere consapevolmente il suo patrimonio di giardini e di paesaggi, in una parola, la cultura quotidiana di una comunità.

I Convegni, i Simposi, le Tavole Rotonde, gli Incontri, i Seminari, o come vengono altrimenti chiamate queste riunioni, su quale che sia l’argomento: il melodramma, Leopardi, il romanzo, Pirandello o i Boschi di Carrega hanno tutti un elemento comune, che è la loro prima ragione di essere: nascono attorno a qualcosa che non è più – che in qualche modo è fuori dal flusso della vita, non è più autonomo, o perlomeno non più nella forma in cui è nato. Sono operazioni culturali, sono l’apertura del testamento dal notaio: e adesso che si fa?” Ippolito Pizzetti, Pollice Verde, numero del 2 marzo 1980.

“[…] ho sentito il bisogno di fare una pausa in questo mio discorso [relativo alla istituzione del Parco Regionale dei Boschi di Carrega nel Parmense]. Per aprire le righe al volo della gazza bianconera, al profumo delle mimose, al colore delle foglie nuove. Prima di ogni altra cosa il senso di un giardino (di un parco, di un bosco) è questo, non ne hanno se prima dentro di noi non sentiamo destarsi, in mezzo ai detriti della vita quotidiana, questo richiamo improvviso. Ed è anche il senso di continuità di queste righe, settimana dopo settimana, la relazione profonda che esiste tra la mia, quella dei miei personaggi la vostra vita e questa, che avviene dentro gli spazi aperti, dovunque sia, anche nel cielo della città attraverso una finestra o in un prato tra due case, o nel vasto fuori. Per questo ho sentito il bisogno di fare una pausa; o meglio d’una pausa, visto che siamo nei boschi, e restiamo pure in quelli di Carrega, una sosta in una radura sul terreno ancora umido dell’orma dell’inverno, che appena si sveglia. Sediamoci, guardiamoci attorno poi discuteremo.” Ippolito Pizzetti, Pollice Verde, numero del 9 marzo 1980.

Foto di Giovanna Mattioli

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Giovanna Mattioli

È un architetto ferrarese che ama i giardini in tutte le loro forme e materiali: li progetta, li racconta, li insegna, e soprattutto, ne coltiva uno da vent’anni. Coltiva anche altre passioni: la sua famiglia, la cucina, i gatti, l’origami e tutto quello che si può fare con la carta. Da un anno condivide, con Chiara Sgarbi e Roberto Manuzzi, l’avventurosa fondazione dell’associazione culturale “Rose Sélavy”.


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