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C’è chi lo vuole interregionale e chi punta ancora più in alto, al Parco nazionale del Delta del Po. Il suo presidente Massimo Medri lancia la sfida “sarebbe un’ottima cosa per allargare l’ombrello della tutela e valorizzazione”. “Il Parco ha bisogno di un’operazione d’immagine potente per farsi conoscere di più e meglio oltre i confini nazionali, in modo da dar seguito alla promessa di turismo lento avviata da tempo – spiega – Costruire un Grande Delta in grado di competere con i fiumi europei come il Danubio e la Senna, significa dare a questo ambiente dignità, lustro e, al tempo stesso, investire sull’unicità di un paesaggio che, se preservato e promosso come si conviene, rappresenterà la ricchezza per il futuro turistico di questi luoghi”. Purtroppo però il parco soffre di un male tutto italiano, la schizofrenia. E’ difficile conciliare la bellezza di Valle Campo, il volo rosa dei fenicotteri con i ruderi della ex Sivalco, arricchiti di una quantità enorme di eternit, a quanto pare irremovibile. Il responsabile del lascito? La Regione Emilia Romagna. Non è di grande esempio.

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Impianti ex-Sivalco, Valle Campo

Le architetture industriali di cui è puntellato il Delta – specie nelle zone di confine con il parco veneto dove insistono due cattedrali impossibili da mimetizzare come la ex centrale Enel di Polesine Camerini e il rigassificatore di Porto Viro, visibile dalla costa – non si conciliano con la bellezza dei luoghi e generano l’inevitabile moltiplicarsi degli interrogativi sul parco e le sue finalità. Per fortuna è stato scongiurato quantomeno lo sciagurato progetto di centrale biogas affacciata sulla Sacca di Goro, perla paesaggistica della ciclabile panoramica. “Non si può pretendere di fare turismo di qualità, senza fare scelte che devono essere coerenti con l’alto profilo di ‘vacanze natura’ da offrire. – spiega il presidente – A questo proposito non dimentichiamo che gli imprenditori devono avere delle indicazioni chiare per investire. Il futuro del Parco deve attrarre capitali con operazioni certe e con una burocrazia snella che permetta di realizzarle”.

Detto così sembra facile, ma non lo è. Per questo l’idea di rendere nazionale il Parco potrebbe essere la più percorribile per evitare irrecuperabili sfregi naturalistici dovuti alla differente sensibilità delle tante anime amministrative che popolano due Regioni e i tanti Comuni interni e vicini ai suoi confini. Oggi come oggi, il Parco – che in un recentissimo passato ha rischiato tagli ai finanziamenti regionali mortali per la sua esistenza – è impantanato nei mutamenti legislativi, il meno recente dei quali risale all’approvazione della legge regionale del dicembre 2011 che lo ha catapultato in una dimensione amministrativa più complessa, gravida di competenze, ma povera di fondi e personale. C’è da aggiungere inoltre che lo smantellamento delle Province non gioca a favore del neonato ente già in affanno. “Abbiamo avuto momenti difficili, nonostante tutto siamo riusciti a mantenere in piedi i progetti che avevamo in essere. – racconta – Oggi stiamo per collegare la riviera ai Centri visita, alcuni dei quali come la Manifattura dei Marinati e Bevanella, sono davvero straordinari. Un bus elettrico farà la spola dalle strutture ricettive alle stazioni, si tratta di un utile servizio navetta istituito fino a settembre”. Il costo, circa 30mila euro, sarà suddiviso tra l’ente e i Comuni del parco.

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Massimo Medri, presidente del Parco del Delta del Po

Sul tavolo restano gli incerti legati all’abolizione delle Province. “La loro scomparsa ci crea delle difficoltà, immergendoci in un mare di burocrazia in divenire”, dice. La Provincia di Bologna ha già deliberato il passaggio delle aree naturalistiche sotto la giurisdizione del parco. “L’acquisizione di competenze avviene sulla base di una domanda avanzata dalla Province. Alla richiesta di Ravenna noi abbiamo replicato con quella di risorse umane e finanziare. Ora la palla è alla Regione per la delibera definitiva”, spiega. “Ferrara sta ancora lavorando sul passaggio di beni e personale – prosegue – si parla dell’acquisizione delle Dune di Massenzatica, di una parte del Mezzano e di molte altre aree”. E’ una sorta di work in progress dettato dal decreto Delrio che, in attesa di modificare il titolo V della Costituzione, lascia siano le città metropolitane e le aree vaste a spartirsi le competenze provinciali. “Il tema dell’ambiente è contenuto all’interno di una materia talmente vasta, da aprire per noi un altro periodo di incertezza, motivo in più per puntare al parco nazionale – conclude – l’unica strada maestra da percorrere per dare forza al Parco”.

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Monica Forti



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