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Da MOSCA – Fuori fa freddo, nevica, tutto si sta imbiancando velocemente mentre i taxi fanno lo slalom fra gli immensi spazzaneve che cercano spazio per fare altro spazio. Le luci del Natale e del Capodanno sono ancora accese, è quasi buio e i tronchi d’albero ai lati delle strade affollate sono ancora avvolti, quasi abbracciati, da fili di illuminazioni azzurro-cielo e bianco-diamante. I raggi di luce si proiettano sugli infiniti passaggi pedonali e sul tuo volto intirizzito; tutto scintilla, tutto sfavilla, tutto è animato. Anche gli edifici sono decorati allo stesso modo. Quasi avessero la testa adornata di coroncine luccicanti, a volte intermittenti, a volte fisse. E fisso è il tuo sguardo all’insù, sempre stupito da quei bagliori che sembrano non volersi mai spegnere, da cartelloni pubblicitari che lampeggiano, da palazzi abbelliti da luci di ogni tipo, da stelline e fiorellini che non lasciano spazio a brutti pensieri. Avvolto da un’atmosfera quasi magica, pensi che forse sia meglio ripararsi dai quei fiocchi a dire il vero un po’ prepotenti, rifugiandoti nel caldo ventre della metropolitana moscovita. Pronta ad accoglierti, per alcuni a divorarti. Ma noi vogliamo coglierne lo spirito materno che ci protegge da intemperie e avversità cittadine. E poi è un giorno lavorativo, stiamo rientrando da una corsa al supermercato e, con la neve che incombe, ci pare la soluzione migliore.

Ammetto che la profondità di questa metropolitana non mi piace, mi spaventa da sempre, anche perché soffro di claustrofobia, ma va anche detto che lo spettacolo merita uno sforzo. Si tratta, infatti, di una delle maggiori attrazioni turistiche della capitale. Difficile da immaginare, solitamente la vediamo come un semplice mezzo di trasporto spesso noioso e fastidioso, ma entrare qui ha un altro sapore, perché siamo in un museo a cielo aperto. E poi ci sono storia e storie dietro, alcune reali altre di fantasia. E non solo della mia. Una penna non basterebbe.

La mia stazione preferita è sicuramente quella del Park Kultury (Parco della Cultura), inaugurata insieme alle altre della prima tratta della metropolitana moscovita il 15 maggio 1935. Mi piace, non solo perché vicino casa, ma per il suo nome e il suo colore. In essa predomina, infatti, il bianco, un bianco candido, latte, luminoso e pulito. E a me piace questo colore. La stazione è a due piani e gli architetti Krutikov e Popov, che la disegnarono, scelsero, per essa, decorazioni ispirate all’antica Grecia: lungo le banchine vi sono 22 pilastri ricoperti in marmo crimeano Kadykovka, sormontate da capitelli, lungo le mura altri pilastri ma decorati a mosaico. I sovrappassi pedonali, che conducono agli ingressi, sono ricoperti di piastrelle metallo-plastiche, balaustre bianche con eleganti corrimano in marmo. Le mura dei corridoi che portano agli ingressi sono in marmo degli Urali. In questi giorni in cui si parla tanto di atleti, questo luogo è un vero inno allo sport e all’armonia del corpo. La stazione è una delle poche della rete che è rimasta quasi immutata sin dalla sua costruzione, ad eccezione della ripavimentazione in granito della banchina e del rinnovo dell’illuminazione. Quest’ultima consisteva di bellissimi lampadari al centro, corredati da lampade semicircolari alle pareti; con l’introduzione delle lampade a luminescenza, lampadari e lampade furono sostituiti. All’inaugurazione, la stazione aveva un nome ben più lungo: Central’nji Park Kul’tury i Otdycha imeni Gorkovo (Parco Centrale della Cultura e dell’Agiatezza Maksim Gorkij). Nel 1980, con i Giochi Olimpici a Mosca, il nome fu abbreviato. Se entrate qui, rimarrete colpiti dalle sculture, dalle statue, da come un luogo di cultura di colore bianco possa improvvisamente apparire sotto terra, ad illuminare la giornata, i passi e i pensieri di tutti, quando in posti come questi ci si aspetta solo buio, grigio e mancanza di aria e di luce.

Ma questo posto è uno dei tanti. Le stazioni della metro sono numerose e molte di queste sono bellissime, soprattutto quelle dell’area centrale della città. E hanno anche cambiato nome, spesso. La stazione della metropolitana Giardino di Alessandro, Aleksandrovskiy Sad, quella che si affaccia sui bellissimi e curati giardini vicino al Cremlino, per intenderci, venne aperta al pubblico nel maggio 1935. All’epoca si chiamava Via Komintern, dal nome della strada sotto la quale fu costruita e dove si trovava la sede del comitato esecutivo del Komintern (l’organizzazione internazionale del proletariato rivoluzionario che riuniva i partiti comunisti dei vari paesi). Nel 1946, la strada cambiò nome e venne chiamata via Kalinin, in omaggio a un importante uomo di stato sovietico, il cui un busto in granito venne installato all’interno della stazione. Nel 1990, alla via venne restituito il suo nome originario, via Vozdviženka e, pertanto, anche il nome della stazione cambiò e venne ribattezzata dall’omonimo giardino di Alessandro situato vicino alla sua uscita. Essa segue lo schema di una stazione ferroviaria e ha un soffitto sorretto da tre file di colonne ottagonali. La fila in mezzo ai due binari non ha un rivestimento particolare, mentre le colonne delle due file laterali sono rivestite di marmo bianco. L’illuminazione è affidata a plafoniere semisferiche al centro di cassettoni quadrati che decorano il soffitto. Le pareti della stazione sono ricoperte di mattonelle azzurre. Bella e incantevole anche questa.

Se si vuole, invece, scendere alla fermata che porta direttamente alla Piazza Rossa, usciremo, allora, alla stazione di Ohotnyj Rjad, quella che più di tutte le altre ha cambiato nome da quando è stata costruita. Il suo primo nome è stato Ohotnyj Rjad, nome che ha tutt’oggi dopo vari cambiamenti. Ohotnji Rjad significa Via della Caccia, ma rjad vuol dire fila, riferendosi alle file di chioschi in legno situati, dal XVII secolo al XIX, in una via limitrofa, adibiti alla vendita della cacciagione. Ma già nel 1955 si decise di ribattezzare questa stazione, dandole il nome di Lazar Kaganovič, incaricato di attuare il progetto di costruzione della metropolitana di Mosca. Così dal 1955 al 1957 la stazione portò il nome di questo importante uomo di stato dell’epoca staliniana. Dopo la morte di Stalin, Kaganovič si oppose alla destalinizzazione e, accusato di aver cospirato contro Chruščëv, venne destituito da ogni carica politica e espulso dal partito. Alla stazione venne, quindi, restituito il suo vecchio nome, ma per poco. Nel 1961 fu ribattezzata Prospekt Marksa, in onore di Carlo Marx. Solo nel 1990 tornò a chiamarsi Ohotnij Rjad. Essa è costituita da una sala centrale sormontata da tre grandi volte a cassettoni alle quali vennero appesi lampadari sferici. Le volte poggiano su pilastri rivestiti di marmo bianco e grigio. Le pareti sono ricoperte con piastrelle in ceramica bianca e il pavimento è in granito grigio. Fra le decorazioni c’è ancora il ritratto di Marx, realizzato in mosaico negli anni ‘60, mentre è stata rimossa la statua di Stalin che si trovava all’uscita nord.

Molti altri nomi di stazioni sono stati cambiati nel tempo, in particolare dopo la caduta dell’Unione Sovietica, quando i nomi sovietici furono sostituiti con i nomi originari. Qualcuno vi ha ambientato romanzi e storie; si potrebbe, in effetti, scrivere molto su di essa o stando in essa, esplorandola con curiosità e attenzione per qualche giorno. Oltre ai luoghi, essa è viva e pulsante per le persone e le storie che queste portano con sé, lì dentro, là fuori. Nel mondo. Tutto cambia, almeno un po’.

Così, ancora, l’antica Dzerzhinskaya è diventata Lubjanka (Feliks Edmundovič Dzeržinskij era il capo della polizia segreta Čeka, precedente al KGB, nome da cambiare…). Sopra di essa si trova la famosa Lubjanka, il quartier generale dei servizi segreti. Nel 1990, dopo aver rinominato piazza Dzerzhinskij con il suo nome storico, ossia piazza Lubjanka, anche alla stazione della metropolitana venne assegnato questo nome.

La stazione di Kirovskaya è divenuta quella di Čistye Prudy. Sergej Kirov era un protetto di Stalin e membro del Comitato Centrale, poi vittima della stessa caduta di Stalin. Nel 1990, il nome della stazione venne sostituito con quello di uno stagno nelle vicinanze, lo stesso che Alexander Menshikov, il favorito di Pietro il Grande, aveva fatto ripulire, denominandolo appunto Čistye Prudy (“Stagno pulito”).

C’è poi Novoslobodskaya, famosissima per le 32 vetrate colorate opera degli artisti lettoni E. Veylandan, E. Krests, e M. Ryskin. Ogni pannello, circondato da un bordo elaborato, è posto in uno dei piloni della stazione, illuminato dall’interno. Ci si può specchiare o immaginarsi un personaggio di una delle storie ricamate sui vetri. Piloni e archi tra di essi sono ricoperti di marmo rosa degli Urali. Alla fine della banchina vi è un mosaico di Pavel Korin intitolato “Pace nel Mondo”.

Con questa immagine vi vogliamo lasciare, le stazioni sono tante e molte altre meriterebbero un commento. Se pur spiacenti, vi lasciamo allora, in attesa di percorrere ancora insieme le strade di Mosca, alla scoperta di nuovi posti e di tante curiosità. C’è davvero tanto da raccontare…

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.


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