Come un fulmine a ciel sereno, la notizia arrivò improvvisa, inaspettata.
«Non è giusto» fu l’unica cosa che riuscii a dire.
Andai alla finestra e guardai fuori: il sole era appena tramontato e in cielo dominava un bel rosso porpora. Le pozzanghere che la pioggia del pomeriggio aveva sparso sulla strada sembravano piene di sangue.
Nella mia testa la pioggia continuava a cadere e sotto la pioggia vedevo il viso di Chiara che mi sorrideva. «Dai vieni anche tu Carlo, questa è una serata da cinema. Sennò cosa vuoi fare con sto tempo?» mi diceva. Io però dovevo passare da Marco a fare la scaletta dei dischi per la serata di domenica, così al cinema ci andarono Chiara, Rita, Ale, Davide e Roberta.
Guardavo il cielo finalmente sereno, ma la pioggia non smetteva e mi bruciava gli occhi. Le lacrime erano gocce incandescenti che rigavano le guance di rosso, lo stesso rosso del cielo e di quelle pozzanghere, mentre rabbia e dolore mi scottavano la faccia. Era la prima volta che sentivo quel male addosso, non l’avevo mai provato prima. Ma ero giustificato, dopotutto avevo quindici anni.
Era stato Davide a dirmelo. Era passato nel tardo pomeriggio davanti a casa mia e si era fermato. Cinque secondi. Tre parole e il tempo di elaborarle.
«Chiara è morta!» aveva detto, la voce tremava e a stento tratteneva il pianto.
Non l’avevo mai visto così. Ma era la prima volta per tutti.
Fino ad allora non avevamo mai fatto i conti con la morte, con la perdita di una persona cara.
Eravamo solo dei ragazzini, i più vecchi di noi avevano appena sedici anni. La morte non l’avevamo ancora messa in conto.
Chiara si era sentita male la sera prima al cinema. Davide aveva detto che stava ridendo di gusto per una scenetta comica, che di punto in bianco s’era fatta seria, che poi aveva perso i sensi senza fare in tempo a dire una parola. All’inizio tutti avevano creduto a uno scherzo, poi capirono che non lo era e corsero fuori dalla sala a chiamare aiuto. Chiara respirava ma non reagiva a niente e quando arrivò l’ambulanza Davide e gli altri intuirono che la cosa era molto seria.
Chiara non si svegliò più e in tarda mattinata, dopo una notte trascorsa in rianimazione, ne venne dichiarata la morte cerebrale.
La rottura di un dannato aneurisma nella testa aveva provocato un’emorragia risultata poi fatale. Fu così che la sua vita si spense per sempre.
Chiara, occhi azzurri come cielo sereno del mattino, capelli biondi come campi di grano maturo, pelle chiara come latte alla fragola. Sempre Chiara, con le sue lentiggini e il suo eterno sorriso disarmante, non l’avrei mai più rivista.
«Non è giusto» ripetevo, mentre Davide si copriva il viso affranto.
E fu così che quella domenica d’autunno, per la prima volta, io e i miei amici ci scoprimmo mortali. Capimmo d’essere in balìa di qualcosa di incontrollabile e troppo più grande di noi, persino più grande della nostra voglia di vivere e di sfidare il mondo giorno dopo giorno. Per la prima volta comprendemmo il senso della perdita e che quell’idea d’invincibilità che ci aveva confortato fin dall’infanzia era soltanto un’ingenua illusione.
Fu una severa lezione che imparammo e che poi dimenticammo quasi subito.
E adesso, dopo tutti gli anni trascorsi, mi chiedo se tra noi si sia salvato qualcuno.
In verità nessuno. Perché ora siamo tutti diventati qualcos’altro, tutti resi irriconoscibili dallo scorrere della vita. Tutti eccetto Chiara, solo lei è rimasta la stessa. La sua morte prematura le ha risparmiato il lento e inesorabile declino della vita, lasciandola giovane per sempre.
Magra consolazione?
Mentre scrivo queste righe rivedo Chiara, sento la sua voce di eterna quattordicenne, amica di una volta… Ora e per sempre.
Summer Lightning (Camel, 1978)
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Carlo Tassi
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