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Gentile Presidente Paron,

accolgo il suo invito, lanciato dalle pagine della cronaca cittadina, a pronunciarsi sulla scritta pubblicitaria apparsa sulle torri del Castello tinto a festa per le sagre natalizie. Dal fondo della memoria risale una filastrocca che noi bambini eravamo usi cantare nelle immancabili visite al monumento più famoso (ma sicuramente non il più bello) della nostra città: “Ma che bel castello marcondirondirondello / Ma che bel castè marcondirondirondà”…
Dove, misteri del caso, il refrain della filastrocca porta il nome dell’assessore alla cultura.
Rispetto all’attenzione a cui sono stati e forse saranno gli edifici più importanti della città estense, il Castello da secoli è sottoposto ad infiniti rimaneggiamenti e ‘stupri’ che lo hanno reso architettonicamente e artisticamente illeggibile. Un luogo da parata, direi, usato per tremende manifestazioni: dall’improvvido incendio, mai abbastanza deprecato, ai manti – più o meno – regali che indossa per ospitare mostre e rassegne, ben più attendibili in altri luoghi. Resta il segno/sogno del popolo ferrarese sempre affascinato dall’idea di entrare nel Castello.
Ma anche al cattivo gusto c’è un limite. E i lividi coloracci con cui lo si fascia conciandolo così per le feste superano ogni pretesa o lontano sospetto di buon gusto. Ricordo ancora l’entusiasmo che noi dell’équipe convocata da Gae Aulenti spendemmo per quella che mio avviso rimane il più importante tentativo di ‘rinnovare’ l’immagine del Castello (le vituperate piramidi di specchi per vedere i soffitti, paragonate da illustri critici d’arte a qualche escamotage degno di pensioni di terz’ordine della costa romagnola); poi s’arrivò a spostare a braccia i quadri per permettere la buffonata dell’incendio.
Che dire dunque della scritta e dei colori con cui s’ammanta il monumento? Boh! Niente di più tremendo di ciò che si fa e si farà del bel Castello dirondello.
Quindi esprimo tutta la mia – peraltro condivisa – preoccupazione riguardo all’intenzione della dottoressa Paron di trasformare il simbolo della città in un giochino buffo e colorato per soddisfare i bambini-spettatori che vogliono entrare nel ‘bel’ Castello.
Come mi disse un tempo un caro amico e illustre studioso ciò che manca a Ferrara è la competenza. La competenza di gestire i tesori che nonostante tutto abbiamo.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it