di Lorenzo Bissi
Se ciò che sto per scrivere striderà alle orecchie dei lettori tradizionalisti, la cosa non mi sorprenderà: a primo impatto sarà inverosimile, ma di riga in riga diventerà sempre più convincente.
Secondo la tesi di Felice Vinci, ingegnere nucleare appassionato di cultura classica, Iliade e Odissea non sono ambientate nel mar Mediterraneo, bensì trovano la loro ubicazione nel mar Baltico.
Come può venire in mente un’idea del genere ad una persona?
È Plutarco ad aprire la pista d’indagine, quando afferma nel dialogo De facie quae in orbe lunae apparet che l’isola di Ogigia, dimora della Ninfa Calipso, si trova a cinque giorni di navigazione dalla Britannia (Gran Bretagna).
Da questo punto in poi, Vinci ha analizzato i due poemi epici e l’idea dell’Omero nel Baltico ha preso una forma sempre più definita.
Impossibile, direte, ma per farvi cambiare idea e magari incuriosirvi, mi farò mediatore della tesi, e vi porterò alcune prove.
Omero parla spesso di una fitta nebbia che cala sulle pianure durante le battaglie, e descrive il mare che le navi attraversano come “livido” e “brumoso”, aggettivi che si addicono molto di più alle acque del nord che a quelle dell’Ellade; a causa di questo grigio clima poi, gli eroi portano sempre tuniche e folti mantelli, da cui non si separano neanche durante i lauti banchetti a cui partecipano.
Il viaggio di Ulisse si svolge in tempi relativamente brevi, che difficilmente coincidono con la ricostruzione fatta nel Mediterraneo: sono molto più verosimili su a nord, dove anche i “biondochiomati” Ulisse e Achille (per citarne due) trovano un ambiente più congeniale.
È poi incredibile come, se ci si reca a Toija, in Finlandia meridionale, ci si possa trovare attorno un panorama analogo a quello descritto da Omero nelle vicinanze di Troia; la somiglianza geografica è rimarcata da quella delle parole: Aijala, località che si affaccia sul mare, prossima a Toija ricorda la parola greca aigialos, che significa spiaggia.
Come se non bastasse, nella terra dei Lestrigoni (collocata ad estremo nord nella ricostruzione) le giornate sono lunghissime, e dall’isola della maga Circe, ricollocata al livello del circolo polare artico, nell’arcipelago delle isole Lofoten, si può assistere a fenomeni come il sole della mezzanotte o le “danze dell’Aurora”
Infine, ciò che c’è di più affascinante è l’interpretazione che Vinci ha dato delle creature marine.
Cariddi viene descritto dal Rapsodo come un enorme gorgo che inghiotte le navi nelle profondità, il che fa pensare al Maelstrom, un fenomeno naturale causato dalle correnti d’aria davanti all’isola di Mosken, in Norvegia; quest’isola, tra le altre cose, ha una forma simile ad un tridente e Ulisse, dopo aver superato Cariddi, sbarca proprio sull’isola di Trinachia, che in greco significa “tridente”.
Il “canto delle sirene” potrebbe essere un kenning (una sorta di metafora tipica delle lingue nordiche) usato per indicare il suono della risacca provocato da scogli e bassifondi, che illudeva i navigatori di essere giunti alla terraferma, per poi inghiottire le loro navi.
Se queste prove non sono state abbastanza persuasive, lo posso comprendere: anche io sono scettico: eppure, davanti a così tante corrispondenze, è difficile non farsi sorgere almeno un dubbio.
E dunque, inghiottito nel maelstrom del mondo omerico, continuo a ricercare prove di questo trasloco di civiltà, che, geograficamente coì lontane, sono evidentemente vicine dal punto di vista culturale.
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Redazione di Periscopio
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