Tra anglicismi e spiritualità: un nuovo modello di azienda
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La spiritualità si può applicare in campo economico? Ritengono di sì gli organizzatori dell’incontro “La nuova economia Benefit fondata sul valore dell’individuo”, di mercoledì 9 novembre, tenuta in biblioteca Ariostea a Ferrara.
Tra il pubblico, un signore sui 70 anni sfoglia l’Avvenire e si ferma su un articolo che titola “Nel Vangelo il terremoto è teofania, non un castigo”.
Ad aprire l’incontro Marcello Girone, che parla della figura di Adriano Olivetti, come modello di imprenditore illuminato. Ma nella società di oggi quali possono essere i riferimenti? Assicura che ci sono Aurelio Riccioli, ingegnere informatico e studioso del pensiero sociale di Rudolf Steiner, che collabora con l’Istituto per la Tripartizione sociale di Berlino e ne cura la versione italiana del sito. Riccioli spiega che “l’aggregazione di individui porta alla creazione di organizzazioni profit e no profit. Negli ultimi due secoli si è generata e distribuita ricchezza, si sono fatti progressi. Ma oggi i manager cercano di risolvere le difficoltà attraverso la burocrazia. Questo porta una parte di noi stessi a non entrare nell’azienda. Si genera così un conflitto tra la vita privata e quella lavorativa”. Insomma, il lavoro tende a diventare spersonalizzante.
“Questo – prosegue Riccioli – fa sì che non si soddisfi se stessi lavorando. Esiste un’alternativa? Leloux (nel libro ‘Reinventare le organizzazioni’, che sta per uscire tradotto) trova aziende, di almeno 100 dipendenti, con un approccio differente”. Riccioli le chiama organizzazioni ‘Teal’. L’uso della lingua inglese in questo incontro abbonda. ‘Teal’, andando a vedere sul dizionario, significa alzavola, uccello di palude stanziale in Italia simile all’anatra selvatica. Nell’utilizzo che ne fa il relatore, ‘Teal’ si riferisce in realtà a un’organizzazione fondata su tre ingredienti: “auto-organizzazione (l’adozione di forme avanzate di autogestione), processo evolutivo (la presenza di uno scopo aziendale evolutivo condiviso) e ‘wholeness’ (la valorizzazione della persona nella sua interezza)”.
Riccioli continua spiegando che auto-organizzarsi significa non avere manager o capi, e scegliere la consultazione come mezzo per prendere decisioni. Al punto che sarebbero gli stessi dipendenti a stabilire il proprio stipendio. “Wholeness” (in inglese interezza), per lui, significa invece sviluppo interiore dell’individuo. Infine, il processo evolutivo consisterebbe nel connettere le motivazioni del fondatore dell’azienda con quelle dei dipendenti.
In concreto cosa significa tutto ciò? A spiegare come si possano mettere effettivamente in pratica questi principi, è Francesco Mondora, che la scheda di presentazione dell’evento definisce “co fondatore e co CEO della Benefit Corporation Mondora srl SB. Insegna Corporate Agile Management e Business Strategy presso aziende, dove sperimenta e migliora gli approcci al mondo e alle persone. Tra i primi Scrum Master certificati in EU partecipa a convegni e tiene conferenze in tutta Europa”.
Il co CEO della Benefit Corporation racconta: “La mia azienda si fonda sul concetto di fratellanza, uguaglianza e libertà. Lavoriamo nel settore primario”. Agricoltura, insomma. “Nelle organizzazioni benefit come la mia ci chiediamo continuamente perché facciamo le cose che facciamo. Perché devo andare a lavorare? Perché la mia organizzazione deve produrre profitto? Perché la mia organizzazione esiste? Il mio lavoro come impatta sulla società? Per esempio, poi, tutti i giovedì invernali, i miei colleghi vanno a sciare. Sciano un’ora e ne lavorano due (concetto di team building), senza che questo sia considerato un giorno di ferie. Festeggiamo solo i fallimenti. Un’organizzazione sana non vive né nel passato né nel futuro”. Questo sarebbe dunque il modello che presenta Mondora: un’organizzazione con un impatto positivo sui lavoratori ma anche produttiva.
Dal pubblico qualcuno alla fine si rammarica della mancanza di “universitari e adolescenti” tra gli spettatori e qualcun altro auspica l’invito nelle scuole dei relatori. Speriamo i ragazzi conoscano l’inglese.
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Emanuele Gessi
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