DIARIO IN PUBBLICO: IL TEMPO DEL CRICETO
Ovvero la condizione delle “inascoltate”
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Non è un caso che l’animale di riferimento, il criceto, abbia trovato buona pubblicità nel pianeta delle donne. Leggo nell’Espresso del 10 maggio titolato Ripartenza (sostantivo al femminile), tutto dedicato alle donne e al loro ruolo così vilipeso, dimenticato e infine maltrattato, storie di ordinaria ingiustizia. Nel primo articolo si parla di Lorenza Neve due lauree e un figlio piccolo, oltre a un compagno in cassa integrazione.
Nativa di Bergamo e domiciliata a Rho milanese per tutto il periodo del lockdown il figlio piccolo non è uscito di casa e Lorenza, madre, impiegata, ha continuato a lavorare in orario d’ufficio (10-18). E ecco il punto che m’interessa: “Vorresti rendere come prima. Ma non ce la fai, sembri un criceto che rincorre il tempo e a ogni giro di ruota ti senti sempre meno all’altezza di quella che eri”.
E’ necessario dunque che alle donne sia riconosciuta purtroppo una specifica condizione di ingiustizia. A loro che, come il criceto, rincorrono il tempo. E’ immorale (per usare una categoria poco frequentata dagli italioti) che alle donne siano sempre deferite le soluzioni più estreme e ingiuste, come quelle di essere madri e lavoratrici. Con meno diritti. Con meno aspettative. Come scrive la giornalista Mannocchi autrice dell’articolo: “Si vede chiaramente che a pagare il conto – salato – sul lavoro saranno le donne. Le inascoltate. Le non parlanti”. Ed è per questo che la mia condizione di criceto sta avendo un nuovo significato. Assumiamo la sua immagine come quella che dovrà – o meglio dovrebbe – mettere in risalto e in primo piano il loro ingiusto condizionamento.
Ancor più clamorosamente insidiosi i commenti fatti sulla liberazione di Silvia Romano che hanno raggiunto l’apice del disprezzo e del furore mediatico, proprio a causa delle scelte di quella donna. Tra i commenti più pesanti quelli del deputato Vittorio Sgarbi che, qualificando come terrorista la giovane Silvia, rischia di vedere soggetto ad indagine il suo post. Ecco il resoconto di La Repubblica nella cronaca di Milano del 12 maggio:
“Serena nonostante le minacce. Silvia Romano è stata sentita come persona offesa per circa un’ora e mezza dal pm di Milano Alberto Nobili, responsabile dell’antiterrorismo, nell’ambito dell’inchiesta aperta dalla procura sull’odio social che ha travolto la ragazza dopo la sua liberazione. Nobili coordina l’indagine che è stata affidata al Ros, e che al momento vede la raccolta e l’analisi di tutti i messaggi minatori: ci sarebbero i commenti sui social, lettere/volantini, e anche un post di Vittorio Sgarbi che ha scritto di Silvia “va arrestata per concorso esterno in associazione terroristica”. Del post, tra l’altro, ha parlato, da quanto si è saputo, la stessa 24enne nell’audizione di oggi pomeriggio.”
Di grande qualità l’intervento di una scrittrice che ben conosco anche perché il padre è stato mio collega all’Università di Firenze, ma soprattutto perché Dacia Maraini ha frequentato la famiglia fiorentina in cui ho vissuto per 25 anni. Così nell’HuffPost del 12 maggio: “Una cosa non riescono a perdonarle: che Silvia Romano non odi i suoi carcerieri. È un fatto che li scandalizza, li manda su tutte le furie. Perché loro odiano tutto, forse pure se stessi. Così si precipitano all’attacco, anche vile. La insultano e la dileggiano. Non riescono a sopportare che sia arrivata in Italia sorridendo, sotto un vestito che corrisponde al nuovo nome che si è data, Aisha, senza pronunciare nemmeno una parola di rancore verso chi le ha fatto così male. Avrebbe avuto il diritto di farlo. L’avremmo compresa. Nessuno, però, glielo può imporre come un dovere civile”. E conclude: “È un errore enorme trasformare Silvia Romano in un mostro, guardando al suo corpo come se si trattasse del terreno sul quale combattere lo scontro di civiltà”. A questa conclusione il criceto che è in me comincia a girare vorticosamente la ruota e applaude alle parole della scrittrice più tradotta nel mondo; una che al tempo della seconda guerra mondiale fu sequestrata dai giapponesi e passò mesi in un campo d’internamento uscendone senza odiare i ‘vincitori’ di un tempo.
La più grave provocazione è avvenuta in Parlamento dove – riferisce Il fatto quotidiano – il parlamentare del Carroccio Pagano ha attaccato il governo perché al funerale di un poliziotto morto per il coronavirus non era presente nessun rappresentante dell’esecutivo, mentre, ha aggiunto, “quando è tornata una neo-terrorista, perché questo è El Shabaab, sono andati ad accoglierla”. La presidente di turno Carfagna lo richiama. I Dem insorgono al grido : “Razzisti e sessisti, chiedete scusa”. Il M5s: “Parole vergognose”. Ma ormai l’odio è scatenato e, proprio come criceto, provo vergogna in quanto sembra che gli insulti più tremendi arrivino dalle donne. Umberto Eco che ho conosciuto assai bene ha espresso anni fa un giudizio che riassume, come tanti hanno ricordato, il vero cancro mentale incluso nel problema: “Ci vuole sempre qualcuno da odiare per sentirsi giustificati nella propria miseria”. Dove miseria è sì pochezza morale e mentale, ma anche infelicità.
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Gianni Venturi
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