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13 Febbraio 2014

Ti amo da morire

Tempo di lettura: 4 minuti


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Nella settimana di San Valentino vorrei porre l’attenzione sui sempre più frequenti fatti di cronaca che vedono come protagoniste donne che per amore si fanno maltrattare fisicamente e psicologicamente, fino ad essere letteralmente uccise.

Quando ci si ritrova all’interno di un rapporto malato, fatto di controlli, limitazioni e tendenze alla fusione, non è sempre facile accorgersene in tempo e, soprattutto, trovare il coraggio di uscirne. Un misto tra paura, senso di colpa e dipendenza affettiva caratterizza in genere queste relazioni.

Una mia paziente riferisce: “Pensavo di essere responsabile di ciò che mi accadeva, lui mi ripeteva “se perdo le staffe è per colpa tua!”. Spesso si inizia da una violenza psicologica in cui il partner umilia e sminuisce la compagna facendole credere e convincendola che non vale nulla. Poi dalle offese verbali, che si fanno sempre più veementi, si può passare alle mani. In breve tempo ci si può ritrovare in una gabbia da cui si ha il terrore di uscire. La vergogna di raccontare ciò che si subisce prevale.

La dipendenza affettiva è oggi sempre più diffusa: essa si sviluppa più facilmente in soggetti con scarsa autostima e che hanno vissuto situazioni di abbandono, maltrattamenti di vario genere, violenze fisiche e psichiche solitamente subite nell’infanzia. Sono persone di solito molto dipendenti dal giudizio degli altri e dalle valutazioni altrui: al fine di star bene con se stessi, cercano negli altri chi può dar loro quel senso di autostima che a loro manca; e che, di conseguenza, possono diventare veri e propri ostaggi nelle mani di chi dimostrerà loro affetto o approvazione. Per questo possono incontrare la violenza travestita d’amore.

Quando ci si muove nel territorio dell’amore è difficile orientarsi e individuare luoghi sicuri da cui guardare l’orizzonte. Questo perché, lo sappiamo tutti, è davvero complesso dare una definizione di ciò che è l’amore. Tuttavia, dinnanzi alle ormai innumerevoli tragedie cui assistiamo e che terminano con la morte o il ferimento di una donna, più raramente di un uomo, e il cui movente viene individuato come “passionale”, non possiamo fare a meno di chiederci di che passione si tratti e che cosa essa abbia a che fare con l’amore. Sicuramente, un sentimento che conduce all’annientamento psicologico o fisico dell’altro, se assume il nome di amore, lo fa in modo malinteso, oscuro,  usurpando uno spazio che non gli spetta. Possiamo parlare di un amore “malato”, che spinge ad agire in modo ossessivo e violento, fino al punto, in troppe occasioni, di annullare quello che si ritiene l’oggetto dell’investimento amoroso, togliendogli la vita o impedendogli di vivere.

C’è qualcosa nell’amore che concerne l’eccesso,  la perdita di confine, lo smarrimento. C’è qualcosa di malato nell’amore umano che sembra inestirpabile. L’amore è lo scavalcamento di un limite. L’amore non è un’esperienza di controllo e di padronanza, anzi è esperienza della rottura di un ordine, di un equilibrio, fino allo smarrimento e al disorientamento. Nell’amore malato la spinta appropriativa travalica il limite e la vita può diventare impossibile a causa delle persecuzioni messe in atto dall’altro. Ciò che solitamente spinge ad uccidere è il senso di abbandono conseguente alla separazione dall’altro o alla minaccia di tale separazione. È la non accettazione di tale separazione e l’irrinunciabile senso del possesso dell’altro, che fa dire a un mio paziente: “Ti uccido e poi mi uccido così ti porto con me per sempre!”. È l’idea che senza l’altro non si possa stare né, quindi, esistere. Per questo, spesso, molti uomini dopo aver ucciso si tolgono la vita. “Se tu non ci sei più, io non sono più niente!”.

Il paradosso fondamentale dell’amore umano è che io voglio che l’altro sia solo mio; tutti vogliamo questo quando siamo innamorati: io voglio che tu sia mia perché tu lo desideri, voglio che tu rinunci liberamente alla tua libertà. Ogni amore umano vuole essere per sempre e vuole trasformare un incontro contingente e imprevedibile in un amore per sempre. L’incontro è casuale, ma gli amanti pensano che era già scritto da qualche parte, per questo consultano gli astrologi per avere conferma che nelle stelle era già scritto.

Per combattere il fenomeno della violenza contro le donne, perché la violenza non rimanga soffocata entro le mura domestiche come se fosse normale, le riforme giuridiche, sono necessarie ma non sufficienti. E’ necessario un cambiamento culturale e valoriale. Non basta qualificare un comportamento come illegale per sradicarlo dalla vita quotidiana e dalla mentalità comune. Occorre, invece, modificare abitudini e convinzioni radicate, eliminare stereotipi e immagini degradanti del genere femminile. Occorre imparare a riconoscere l’altro come diverso da sé, assolutamente separato e sopportare la nostra solitudine.

Chiara Baratelli  è psicoanalista e psicoterapeuta, specializzata nella cura dei disturbi alimentari e in sessuologia clinica. Si occupa di problematiche legate all’adolescenza, dei disturbi dell’identità di genere, del rapporto genitori-figli e di difficoltà relazionali.
baratellichiara@gmail.com

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Chiara Baratelli

È psicoanalista e psicoterapeuta, specializzata nella cura dei disturbi alimentari e in sessuologia clinica. Si occupa di problematiche legate all’adolescenza, dei disturbi dell’identità di genere, del rapporto genitori-figli e di difficoltà relazionali.


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