La scorsa settimana mi è accaduto un fatto assai strano.
Il prestigioso ente con cui collaboro ormai da anni – ci tengo a precisare: a titolo completamente gratuito – mi ha commissionato un ambiziosissimo studio/collaborazione/serie di articoli da svolgersi all’estero.
L’ente è il celeberrimo “Istituto Nazionale per la Salvaguardia e Tutela dell’Originale Maiolica della Jamaica” che ha sede a Kingston, ridente capitale dell’isola caraibica celebre per aver donato al mondo così tanta musica ma non solo: anche tanta maiolica e una celebre squadra di bob celebrata anche in quel vecchio film in cui compariva l’indimenticato John Candy.
Inizialmente, mosso da un misto di ansia, modestia e dal mio solito senso di inadeguatezza verso la qualunque, avevo pensato di passare il lavoro – profumatamente spesato e soprattutto pagato – al mio collega Al Katz, docente ordinario in Storia Sociale della Maiolica presso l’Università degli Studi di Ponticello, NJ, Usa.
Pensato questo, avevo dunque inviato una missiva elettronica al sopracitato ente ma – con mia grande sorpresa – la segretaria mi ha contro-inviato una gran bolla firmata e controfirmata dal Ceo dell’ente, il dott. Algernon Pontiac McSquarrows – in formato pdf con tanto di firma elettronica, quindi uno scherzone – che in sostanza mi invitava a smetterla di cincischiare perché se l’ente aveva scelto me aveva avuto i suoi buoni motivi.
Mi accingo dunque, proprio in prossimità di un inverno che si preannuncia “freddo da record”, a fare i bagagli verso la soleggiata isola della musica.
Confesso di essere un po’ intimorito perché – come detto prima – non so se sarò in grado di adempiere a un compito di tale difficoltà.
Tuttavia, non posso fare a meno di avere una cieca fiducia in un ente così serio – e come detto prima, prestigioso perché c’è di mezzo anche il Governo – che da anni mi ha preso sotto un’immensa ala protettrice credendo in me al 110% con tanto di lode.
Insomma, sarà una grande, nuova, bellissima avventura che mi spinge a riflettere sui tanti fattori che regolano questa contemporaneità perché, chiaramente, anni fa, prima dell’avvento di internet, non avrei mai avuto un’opportunità lavorativa di questo tipo.
Troppo spesso, in tanti – anzi troppi – mossi da una buona dose di miopia e anche da un latente ritorno di un certo facilone luddismo, ci lanciamo in facili critiche verso la rete.
Tutto ciò è avventato e alla fine dei conti ingiusto.
Questo è il mondo in cui viviamo e dobbiamo avere tutti quanti il coraggio – e che coraggio! – di continuare a viverci, anche perché se non andiamo avanti a viverci: non so proprio quale altra soluzione ci possa essere.
O almeno: io non ne ho mai trovata un’altra.
Ma vabbè, chi se ne frega: rimbocchiamoci le maniche perché – parafrasando un grande poeta – “this is the modem world”.
Via col pezzo della settimana.
The Modern World (The Jam, 1977)
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