Una delle notizie extra-campo di Euro 2020 fu senza dubbio il gesto di Cristiano Ronaldo in conferenza stampa: l’ex giocatore della Juventus spostò dall’inquadratura due bottiglie di Coca Cola, ossia uno dei principali sponsor della competizione, e invitò il pubblico a bere più acqua. Quel gesto contribuì all’immediato deprezzamento delle azioni della stessa Coca Cola, il cui valore di mercato scese da 242 a 238 miliardi di dollari.
Ebbene, ciò che colpisce di questa vicenda non è l’atteggiamento di Ronaldo – che rispecchia peraltro la sua maniacalità nella cura del corpo – né il calo dell’1,6% delle suddette azioni, bensì la conferma di quanto lo star power abbia cambiato, e continui a cambiare, le regole non scritte della comunicazione sociale, politica ed economica.
Al pari di artisti e influencer, gli atleti più famosi al mondo indirizzano il dibattito pubblico e condizionano l’andamento di alcuni mercati. Basti pensare, ad esempio, a ciò che è successo con il monologo di Fedez al concerto del primo maggio 2021, nonché all’impegno socio-politico di LeBron James nella lotta al razzismo sistemico negli Stati Uniti [Qui] o all’attivismo della tennista Naomi Osaka.
Il potere comunicativo degli atleti professionisti è aumentato poiché non c’è più l’esclusiva sui loro contenuti: infatti, oltre all’impareggiabile cassa di risonanza dei social network, i protagonisti dello sport hanno a disposizione delle piattaforme in cui, senza filtri giornalistici o televisivi, esprimono opinioni e raccontano le loro storie. Mi riferisco perlopiù a The Coaches’ Voice, a Untold Athletes e a The Players’ Tribune, sul quale, a proposito di razzismo, è uscito l’anno scorso un lungo e personalissimo articolo del giocatore del Chelsea Antonio Rüdiger che vi consiglio di leggere [Qui].
Insomma, lo sport professionistico si sta adattando a quella disintermediazione che già da qualche anno ci fa porre delle domande sul futuro dei media tradizionali, e specialmente sulle modalità con cui quest’ultimi riusciranno a coinvolgere un pubblico che, inevitabilmente, sarà sempre più abituato al rapporto diretto con i singoli atleti.
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Paolo Moneti
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