Di indizi per fare una prova ne abbiamo a sufficienza, ben più di tre: il Real Madrid, in quella coppa lì, ha qualcosa che gli altri club non hanno. Non sto parlando di denaro, né di potere o di trofei in bacheca: mi riferisco a quel rapporto speciale con le gare più importanti di Champions League.
Le tre rimonte consecutive al Santiago Bernabeu e la finale di sabato sera si aggiungono a una lista di giocate o vittorie entusiasmanti già piuttosto cospicua – su due piedi, a me vengono in mente Redondo nel 2000, Zidane nel 2002, Sergio Ramos nel 2014 e Bale nel 2018. Per non parlare, poi, dei provvidenziali e metafisici gol di Benzema nell’ultima fase a eliminazione diretta, nonché alle parate di Courtois contro il Liverpool.
Insomma, non è un caso se già da qualche anno si parla di “mistica del Real Madrid”. D’altronde, se diamo un’occhiata alla definizione della parola “mistica” suggerita dalla Treccani, è difficile non essere d’accordo.
“Un forte senso della totalità in cui il soggetto si realizza superando distinzioni, limitazioni e contrapposizioni; una forma di rapporto conoscitivo, non logico ma intuitivo; una presenza di momenti esemplari spesso accompagnati da fenomeni psicosomatici (estasi, raptus, ecc.) e uno stato finale sentito come liberazione da ogni limite empirico.”
Al fischio finale, l’espressione di gran parte dei giocatori del Real Madrid era un misto di allegria, stanchezza e soddisfazione per aver fatto il proprio lavoro, non di incredulità. Sì, perché quello è il loro lavoro: esaltarsi nei momenti decisivi e vincere. Basti pensare che sono passati più di quarant’anni dall’ultima volta che i blancos hanno perso una finale di Champions League; per non parlare poi dell’attuale record delle squadre spagnole: dal 2000 in avanti, in 17 finali europee, hanno sempre battuto il loro avversario.
Insomma, per quanto possa suonare un po’ retorico e posticcio, il concetto di club culture nel calcio può incidere eccome sull’attitudine e sulle sorti di una squadra. Il Real Madrid di Carlo Ancelotti lo ha dimostrato ancora una volta, e l’ha fatto con una continuità che ha dell’incredibile: dagli ottavi con il PSG alla finale con il Liverpool, rendendo ancor più leggendario il suo 14º successo in Champions League.
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Paolo Moneti
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