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Ho avuto una lunga infatuazione per la scrittura di Margaret Mazzantini. Nel 2002 venne ospite a Mantova del Festivaletteratura e, ascoltandola dal vivo, la mia folgorazione si acuì. Le parole che usava, i gesti, i commenti avevano la stessa densità della sua scrittura e quella capacità di andare a colpire al centro la materia più viva delle emozioni, mescolando nel linguaggio termini forbiti e parole terra a terra, descrizione di situazioni reali e pensieri intimi e struggenti.

Sergio Castellitto nei panni di “Zorro” al Teatro Comunale di Ferrara (foto Marco Caselli Nirmal)

Con lo spettacolo “Zorro” l’altra sera al Teatro Comunale di Ferrara si è ripetuto l’incanto di cui lei è capace: riuscire a tirare fuori aspetti delle persone e dell’esistenza che spesso se ne stanno ai margini, con quella vividezza che ce li fa sentire all’improvviso vicini – oltre che veri, così importanti e interessanti come non avremmo mai creduto. Tratto dal romanzo della Mazzantini che ha questo stesso titolo, il testo è stato riadattato e interpretato da Sergio Castellitto.

Un’interpretazione di gran classe, da attore scafato, che con pochi gesti e parole dirette riesce a far suo e a trasmettere in poco più di un’ora un personaggio che potrebbe essere irraccontabile e che invece si svela e ti prende, riuscendo a farti entrare dentro un’altra testa e un altro sguardo. Come se ti regalasse nuovi occhi con cui guardare il mondo, la vita, gli obiettivi e gli scopi fondamentali che governano il nostro impegno e il senso dell’esistenza che, bene o male, ciascuno di noi insegue.

Una scena di “Zorro” al Teatro Claudio Abbado di Ferrara (foto Marco Caselli Nirmal)

“Zorro, un eremita sul marciapiede” mette in scena la vicenda di un barbone. Vagabondaggio come scelta estrema. È questo il tema che lo spettacolo va a indagare, facendo alternare nel racconto del protagonista episodi della sua quotidianità – tra una panchina, la toilette della stazione e gli appuntamenti alla mensa delle suore – e quello che c’è stato prima: l’infanzia tra la madre e la sorella maggiore, l’adolescenza con la voglia di amicizia e i suoi rimpalli, l’età adulta con un matrimonio d’amore e un lavoro tranquillo. Tra questi due piani di racconto, divisi tra presente e passato, si inseriscono via via le motivazioni che hanno mandato all’aria una vita normale per trasformarla in quella di una persona che esce dagli standard sociali e fa un passo indietro verso l’emarginazione.

“In realtà – dice Zorro-Castellitto – sono gli altri che hanno fatto un passo indietro, sono loro che a un certo punto si sono allontanati”. Dal momento in cui lui non riesce più ad adeguarsi al tran tran del lavoro e delle relazioni, qualcosa si incrina. Lui dice che “il piano si è inclinato e le persone sono scivolate via”. Lo spettacolo torna a più riprese su un episodio scatenante, un incidente d’auto, che potrebbe essere stato la molla che ha fatto scattare questo allontanamento, che forse ha messo in discussione certezze e tranquillità, finendo per condurre il protagonista sempre più alla deriva.

Brani di cantautori fanno da sfondo emotivo alle varie fasi del racconto (foto Marco Caselli Nirmal)

La cosa interessante dello spettacolo e del testo è quella di mostrare come – da quella deriva al largo dei ruoli sociali – Zorro guarda il mondo con uno slancio umano e una saggezza che fanno riflettere. Il protagonista racconta che ogni tanto si diverte a osservare gli uomini che passano e si mette sulla loro strada, discreto e distante, per immedesimarsi per qualche scampolo di tempo nelle loro vite. In particolare è attratto da un genere di persone che chiama “cormorani”, uomini con l’aria di successo, con i mocassini super ammortizzati, giacca iper-tecnologica, montature d’occhiali stellari, che si crogiolano nel possesso di oggetti che li fanno sentire arrivati. “Cormorani” dalle teste anche giovani ma stempiate, che magari “mangiano solo insalatina e non si riescono a spiegare perché io, facendo questa vita qua, ho ‘sta zazzera folta”. Tanti capelli in testa, tanto tempo libero, pensieri a ruota libera e aria aperta da respirare senza nulla di non essenziale da desiderare. Questo il traguardo di un uomo, che non rimpiange nulla di materiale, ma che ha conservato insieme con la dignità, anche l’amore e il desiderio per una moglie che non ha saputo accettare il suo allontanamento da una vita rispettabile e indaffarata.

Sergio Castellitto nei panni di “Zorro” al Teatro Comunale di Ferrara (foto Marco Caselli Nirmal)

Bravo Castellitto, molto riuscito l’accompagnamento musicale con brani di cantautori che conferiscono uno sfondo emotivo alle varie fasi del racconto e brava la Mazzantini che ha messo i riflettori su questo angolo nascosto di vita. Uno spettacolo che fila via come una canzone e lascia addosso una lezione di spiritualità e di umanità di strada, che – una volta fuori dalla sala ovattata del teatro – fa guardare con occhi nuovi quello che c’è fuori, intorno e dentro ognuno di noi. “Perché – come scrive l’autrice nelle note dello spettacolo – in ogni vita ce n’è almeno un’altra”.

Sergio Castellitto racconta “Zorro, un eremita sul marciapiede”, Teatro Comunale di Ferrara dall’11 al 13 febbraio 2022 è stato l’unica tappa in Emilia Romagna. In marzo lo spettacolo proseguirà il tour a Biella (14), Savona (15/17) e Rovereto (29/30). Lo spettacolo è realizzato da Prima International Company con il sostegno di Intesa Sanpaolo.

Per info sulla stagione di prosa del teatro comunale Claudio Abbado di Ferrara: tel 0532.202675 e biglietteria@teatrocomunaleferrara.it, sito web www.teatrocomunaleferrara.it.

Cover e immagini nel testo: Reportage fotografico di Marco Caselli Nirmal 

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Giorgia Mazzotti

Da sempre attenta al rapporto tra parola e immagine, è giornalista professionista. Laurea in Lettere e filosofia e Accademia di belle arti, è autrice di “Breviario della coppia” (Corraini, MN 1996), “Tazio Nuvolari. Luoghi e dimore” (Ogni Uomo è Tutti Gli Uomini, BO 2012) e del contributo su “La comunicazione, la stampa e l’editoria” in “Arte contemporanea a Ferrara” sull’attività espositiva di Palazzo dei Diamanti 1963-1993 (collana Studi Umanistici UniFe, Mimesis, MI 2017). Ha curato mostra e catalogo “Gian Pietro Testa, il giornalista che amava dipingere”.


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