Apprendo – da Il Mulino, Marcello Flores, Katyń e la memoria rimossa – che il 7 maggio scorso, mentre la Russia festeggia la vittoria contro il nazismo, a Tver’ sono tolte due targhe dal vecchio palazzo della polizia segreta, collocate nel 1991.Una è “alla memoria dei torturati” passati nelle mani dei militi dell’Nkvd (polizia segreta sovietica, ndr,) prima di essere uccisi o inviati in un campo del Gulag. L’altra è “alla memoria dei polacchi del campo di Ostaškov” , uccisi dall’Nkvd di Kalinin (così di chiamava allora Tver’), ed è relativa alle fosse di Katyń.
La vicenda è nota e già chiarita fin dal 1943. Migliaia di ufficiali polacchi, in uniforme e con i loro documenti sono trovati in una fossa comune nella foresta. Risultano indubbiamente uccisi dai sovietici, tra l’aprile e il maggio del 1940. Lo accerta una commissione internazionale della Croce Rossa, richiesta pure dal governo polacco in esilio a Londra. La versione sovietica è che i prigionieri polacchi, usati per l’esecuzione di diversi lavori, sono stati catturati dai tedeschi nell’agosto del 1941 e da questi eliminati. Di più: l’Urss richiede che questo crimine sia aggiunto ai capi d’imputazione al processo di Norimberga. La richiesta è respinta dagli alleati per non compromettere, con l’infondato addebito, l’intero impianto accusatorio.
Nel Dopoguerra, l’Urss, il governo comunista polacco e i partiti comunisti, compreso il nostro, negano ogni responsabilità sovietica. In Polonia, nel 1981, Solidarność erige un monumento alle vittime di Katyń, trasformato dall’autorità e dedicato “ai soldati polacchi vittime del fascismo hitleriano”.
Michail Gorbačëv, in coerenza alla glasnost (trasparenza nel raccontare la verità) promuove una commissione polacco-sovietica per accertare i fatti. Segue l’ammissione di responsabilità dell’Nkvd – ordine di Berja e Stalin di giustiziare 25.700 soldati polacchi, tra loro oltre ottomila ufficiali – e l’apposizione delle due targhe.
Putin, nel 2010, rende omaggio ai caduti di Katyń con il primo ministro polacco Tusk e, 10 anni dopo, decide la rimozione delle due targhe. La storia russa deve rappresentare tutto il bene fatto nel passato, così come nel presente. Testimonianze e ricerche in contrario vanno tacitate. Un sondaggio dello scorso anno attesta che per il 71% dei russi Stalin è stato un personaggio positivo. La memoria pubblica deve adeguarsi al sentimento popolare. Conosciamo e sperimentiamo quotidianamente questo comandamento, che richiede costanti, rinnovate falsità.
Dice Hanna Arendt che la menzogna consiste nella deliberata volontà di trattare verità di fatto come se fossero opinioni e, come tali, trascurabili o modificabili secondo convenienza. Se la versione cara al potente di turno cozza irrimediabilmente con i dati di realtà, tanto peggio per i dati e la realtà. Il risultato è una generalizzata incapacità critica, l’abbandono di ogni tensione alla ricerca della verità, senza pretesa di raggiungerla sempre (o peggio di averla raggiunta e possederla indiscutibile). Difficile il formarsi di un’opinione fondata, impossibile un’opinione pubblica all’altezza dei problemi che si presentano.
C’è chi ne sa di più: i servizi segreti, ad esempio. A loro spettano le più delicate attività informative per la salvaguardia della Repubblica, cioè della nostra democratica convivenza. Ogni volta che accade di gettare uno sguardo alla loro attività questa appare volta a tutt’altro: menzogne, coperture, depistaggi. Ci viene detto allora che questi sono “servizi deviati”. Come tali sono finiti pure nel vocabolario. Ad esempio nel Treccani: “Che si è allontanato da una linea di condotta legale: servizî segreti deviati”. Speriamo che i servizi restanti proseguano nel loro compito importante.
Perché i servizi segreti non deviino non debbono anzitutto deviare quelli pubblici. Penso in particolare a quelli dedicati a salute, istruzione, lavoro. La prima cosa – come noto, e pandemia conferma – è la salute, poi bisogna studiare e lavorare. In Costituzione sono segnati come diritti fondamentali. La Repubblica tutela la salute di tutti come diritto individuale e interesse della collettività. Dell’individuo, è scritto, non del solo cittadino. Un sistema sanitario pubblico, integrato in quello europeo ne ha costituito la realizzazione più aggiornata.
La scuola, nelle sue diverse espressioni e gradi, è apparsa, nei momenti migliori, poter essere l’organo costituzionale, vitale, centrale della democrazia, indicato da Calamandrei. “La scuola è aperta a tutti“, dice la Costituzione. Di tutti è un diritto, come la salute. Si obietta: “Ma se i soldi non ci sono? Soprattutto nella crisi economica e fiscale dello Stato?”. I soldi ci sono, magari ben custoditi e protetti, in paradisi fiscali se necessario. Quello che sicuramente occorre fare è non umiliare sanità e scuola pubbliche al servizio di interessi privati. Dice Calamandrei “Per aversi una scuola privata buona bisogna che quella dello Stato sia ottima”. L’esperienza ci mostra quanto ciò sia vero pure per la sanità.
E poi c’è il lavoro, che fonda la Repubblica e il cui termine ricorre 19 volte nella Costituzione. Nelle sue multiformi manifestazioni può e deve assicurare le condizioni di mantenimento e sviluppo della collettività, anche di quelli che non sono – ancora, più, comunque – in grado di lavorare. Un servizio civile universale, che tale sia e non si accontenti di ostentare l’aggettivo, ne sarebbe già l’avvio. Anche qui non si deve arretrare dai livelli raggiunti. Chiamare il provvedimento Jobs Act non giustifica l’umiliazione dei lavoratori. Il lavoro, a partire da quello pubblico, è alla base della necessaria solidarietà politica e sociale senza la quale, come sappiamo bene e l’art. 2 della Costituzione ricorda, tutti i diritti inviolabili dell’uomo si polverizzano. Restano al più come targhe, in attesa di essere defisse dal muro della nostra costruzione comune.
Cover: Bassorilievo Palazzo del governo, Livorno (Wikipedia)
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Daniele Lugli
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