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Arrivato in Italia in home video il 25 marzo (ma visibile in rete da qualche tempo), se ne era parlato molto lo scorso mese di dicembre, quando la prima del film a New York era stata cancellata. La Sony, produttrice del film “The Interview” con la Sony Pictures Entertainment, era stata attaccata, hackerata, minacciata. Un fatto storico, un caso da manuale senza precedenti, una saga quasi hollywoodiana durata diversi giorni. L’antefatto: a giugno, una lettera dell’ambasciatore nordcoreano a Ban Ki-Moon con la quale si accusano gli Stati uniti d’America di sponsorizzare atti di terrorismo e guerra attraverso la trama di un film (non citato espressamente). I fatti: della missiva non si parla, finché a Novembre la Sony si rende conto di essere stata hackerata, con impiegati che non accedono alla rete aziendale e scheletri che appaiono sui monitor, c’è un messaggio inquietante, di “warning”, “Hacked by Gop” (i “Guardians of peace”).

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Avvertimento

Dati cancellati e mandati online, insieme a documenti e informazioni riservate (38 milioni di file tra i quali email, stipendi, informazioni sui film in uscita come la sceneggiatura di Spectre, il nuovo film di James Bond in uscita nell’autunno 2015, commenti e dati riservati delle star hollywoodiane, da Sylvester Stallone a Jessica Alba), un danno da 200 milioni di dollari. Viene richiesto un compenso monetario, una sorta di ‘ricatto’ per non vedersi attaccare fino in fondo. La pista nordcoreana viene messa in mezzo, riesumando quella lettera alle Nazioni unite, l’Fbi indaga, Pyongyang nega ogni coinvolgimento, anche se celebra il fatto come azione ispirata da indignazione e non esclude che sia stata condotta da ‘simpatizzanti’. I Gop minacciano, evocando un 11 settembre contro i cinema che proiettino il film. Anche se non vi sono elementi per credere alla possibilità di attentati, la pellicola è ritirata dalla programmazione. Arrivano le accuse ufficiali alla Corea del Nord, il 19 dicembre, pur “in assenza di poter mostrare tutte le prove”. Infine, una nota (non attribuibile con certezza agli hacker): via libera a far vedere il film. La conclusione: dopo tanta confusione, il film oggi, è in alcuni cinema, in rete e in home video. Forse qualcuno, semplicemente, si diverte e ride alle spalle di Sony e di due Stati potenti.

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La locandina

Tanto rumore per nulla, tuttavia, perché il “The Interview” è un film come tanti. Non molto diverso da tanti, forse. Ci pare incredibile che abbia potuto causare tanta polemica e una seria crisi internazionale, se non altro perché ci troviamo davanti a una commedia classica, di quelle anche un po’ volgari, pesante in toni e allusioni, e non certo di fronte a un film serio o con veri intenti satirici, nonostante il soggetto politico di partenza. Insomma, è un film realizzato solo con l’ambizione di far ridere e basta (chi piaccia tale tipo di risata). Il polverone dimostra certo la scarsa autoironia del regime nordcoreano, ma non bisogna farsi ingannare da un film semplicemente comico-demenziale. I protagonisti sono particolarmente scemi, la trama improbabile, le situazioni surreali, le battute triviali.
Eccoci, allora, di fronte a due giornalisti (Seth Rogen e James Franco) di uno show scandalistico molto seguito che scoprono che il leader nordcoreano Kim Jong-un (Randall Park) è un loro spettatore e grande fan. Da qui l’idea di intervistarlo, per fare lo scoop, per approdare, finalmente, nel mondo del giornalismo “serio”, un salto di qualità con il botto.

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I due giornalisti

Prima della partenza, tuttavia, la Cia, nei panni della bella agente Lizzy Caplan, li contatta per chieder loro di eliminarlo, con un veleno letale nascosto in un cerotto. Ottenuto il benestare coreano per l’intervista, arrivati in Corea del Nord, i due protagonisti sono affascinati dallo charme del leader e, in particolare, il conduttore David Skylark (James Franco), che rimane ammaliato da quello che Kim Jong-un gli confessa per farselo amico. Tutto l’intreccio si basa sul falso benessere esibito che viene poi scoperto dai due e sulla doppia faccia di Kim Jong-un, placido amico prima e poi spietato massacratore pronto a lanciare testate nucleari.

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Il leader nordcoreano Kim Jong-un

Alla fine i due giornalisti riescono a far fuori Kim con una granata con propulsione a razzo, in un film dalla trama improbabile e in una scena finale davvero poco credibile. Se si parla, comunque, male della Corea del Nord (Kim Jong-un è visto come un bambinone triste e viziato, abile manipolatore ed egoista, che dà di matto quando gli dicono che bere i Margarita è da gay, che si aggira indeciso nel suo armadio per scegliere quale delle decine di uniformi identiche indossare, e che minaccia di bombardare il mondo per sentirsi importante, un fondo di ragione per indispettirsi c’è…), molto peggio ne esce la televisione americana: il personaggio di David, che diventa subito amicone di Kim (vanno a sparare con i carri armati insieme cantando Katy Perry), è il vero idiota del film, un uomo inutile che conduce un programma seguitissimo, ma completamente digiuno delle più basilari regole del giornalismo, profittatore e vigliacco, disposto a tutto per il proprio bene e completamente rimbecillito dalla pop culture. Kim gli fa solo da spalla.

il leader nordcoreano Kim Jong-un
Una scena del film

Una volta deciso di ambientare la vicenda in uno dei paesi più chiusi del mondo, il film poteva mostrare gli aspetti più problematici e complessi della Corea del Nord, invece, li ha banalizzati, umanizzato Kim Jong-un, come un bamboccione con problemi di autostima e terrore notturno di restare solo, e puntato molto di più sulla satira del vacuo mondo dell’entertainment americano che non su quella geopolitica. Altro che film politico, alcuni potrebbero addirittura obiettare che il film ha scelto di ridere laddove si è in costante presenza di pesanti violazioni dei diritti umani, aspetti davvero poco comici. L’intervento nordcoreano ha finito solo per fare (enorme ed esagerata) pubblicità ad una semplice commedia che, forse, sarebbe passata nei cinema senza farsi troppo notare…

The Interview“, di Evan Goldberg e Seth Rogen, con Seth Rogen, James Franco, Lizzy Caplan, Diana Bang, Randall Park , Usa 2014, 112 mn.

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.


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