Tagliani: le mie larghe intese? “Una ricchezza, non un problema”
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Tempo di elezioni. Il 25 maggio anche a Ferrara si vota per il rinnovo del Consiglio comunale. Ferraraitalia presenta una serie di interviste con i candidati, iniziando dall’attuale primo cittadino.
Sindaco Tagliani, lei si prepara al secondo mandato come candidato di una coalizione ampia ed eterogenea dentro la quale, assieme al Pd che è il suo partito, stanno Sinistra ecologia e libertà, pur con qualche mal di pancia, ed esponenti politici, ora riuniti nel neonato raggruppamento ‘Ferrara concreta’, che in questa legislatura sono stati suoi oppositori dai banchi del centrodestra. Non la preoccupa questa babele?
Assolutamente no, perché l’intesa è stata preceduta da molti incontri e si è concretizzata nella sottoscrizione di un programma, fatto non di slogan ma di 30 pagine ben dettagliate che non si prestano ad ambiguità. Evidentemente c’è stato il riconoscimento della positiva azione di governo svolta e la volontà di unirsi di fronte a scelte concrete da portare avanti. E’ una dote rara in questa città, più incline a spaccarsi che a fare squadra. Certo, potranno manifestarsi sensibilità differenti, ma questo ritengo rappresenti una ricchezza e non un pericolo.
La vecchia politica però ci ha abituato ad adesioni formali corroborate da richieste sostanziali, che di norma si traducono in poltrone. Come funziona invece nella nuova politica che lei dice di voler rappresentare?
Intanto di poltrone ormai non ne sono rimaste quasi più. Comunque la nuova politica si esprime in termini di efficacia. E poi i patti sono pubblici e del loro rispetto si dovrà rispondere dinanzi alla città.
La Dc, dalle cui fila lei proviene, era maestra nell’arte del tenere insieme.
Provengo da quel mondo ma in realtà non ho mai avuto la tessera della Democrazia cristiana.
In ogni caso è stato il primo sindaco di Ferrara, nel corso degli ultimi sessantanni, a non essere figlio del Pci o dei suoi diretti eredi…
Certo, ho rappresentato una novità, ma in assoluta coerenza con il percorso del Partito democratico. A Bologna e Parma è capitato ben altro e io non mi rammarico di non avere avuto per sindaco un Guazzaloca o un Pizzarotti! Viceversa a Reggio Emilia con Delrio e a Firenze con Renzi si sono determinate situazioni simili alla nostra e mi pare che nessuno abbia sollevato la questione.
Come dire: l’esigenza di cambiamento anziché sortire un ribaltone vero e proprio si è sublimata in una giravolta soft. Ad accompagnarla però c’è stato anche un conforme ricambio della classe dirigente: abbiamo avuto, per esempio, l’uomo della formazione professionale, il cattolico Mario Canella, a presiedere Ferrara arte, una nomina che ha fatto storcere il naso a molti.
Il discorso non va circoscritto a Canella, ma va esteso a una logica di rappresentanza partitica oggi superata. I tempi sono cambiati. C’era un sistema che accompagnava il percorso dei politici, e che in qualche modo garantiva loro un’occupazione costante. Valeva per tutti. Ma l’epoca dei professionisti della politica è finita, con tutto ciò di positivo e di negativo che questo significa. Di negativo c’è il fatto che la precarietà non è incentivante in alcun settore, così anche in politica si assiste a un livellamento medio verso il basso di chi decide di impegnarsi.
Parlava prima di poltrone in estinzione. La furia iconoclasta di Renzi comincia a fare effetto: a livello di organi territoriali via le Province e ora si parla anche di eliminazione delle Camere di commercio. Lei come la vede?
Cancellare le Province tout court crea più problemi di quanti ne risolva. O le Regioni si spalmano sul territorio oppure le istanze territoriali rischiano di non avere rappresentanza. Serve una riorganizzazione seria a livello regionale. Diversamente la cosa non funziona.
E le Camere di commercio?
Non sono tutte uguali. A Ferrara ad onore di Carlo Alberto Roncarati che l’ha presieduta in questi anni va detto che il rapporto costi-benefici pende dalla parte del secondo. In ogni caso il Registro delle imprese qualcuno dovrà tenerlo e qualcuno dovrà svolgere il coordinamento delle attività economiche. Insomma, non mi accontento della fase distruttiva e questa idea che ha Renzi che le persone si impegnino a fare cose gratuitamente non è che entusiasmi proprio tutti. Io come sindaco continuo ad accumulare cariche e incombenze. E non vedo file di volontari.
Per completare la ricognizione le chiedo se è d’accordo nel considerare il tracollo della Cassa di risparmio di Ferrara anche una sconfitta della politica.
No, la politica non c’entra nulla. E’ il fallimento di chi ha gestito la banca, maturato lontano dalle stanze del potere, a causa di scelte sbagliate.
Non vorrà sostenere che ai due macigni che hanno contribuito ad affondare la banca (Coop Costruttori e Cir di Roberto Mascellani) la politica fosse estranea.
La Costruttori è figlia di un’altra epoca, la falla si è aperta prima del ’99 ed è frutto della politica consociativa degli anni Ottanta e Novanta. Mascellani invece con la politica non c’entra.
…E con chi, allora?
Non mi faccia parlare… Se qualcuno ha fatto pressione sono state le categorie economiche, non certo i partiti. Si è esposto chi poteva avere voce in capitolo, chi occupava posti nei consigli di amministrazione.
Ho capito. Torniamo a un ragionamento complessivo sulla città. Lei come immagina Ferrara fra dieci anni?
Penso a una città coesa con una forte identità. Un centro storico più ampio, attrattivo per i visitatori e per chi ci abita. Penso a un’Università capace di generare – attraverso spin-off e tecnopòli – occasioni di impresa e occupazione per i giovani. Vorrei una città che non si definisce di cultura solo perché vuol vendere menu o stanze d’albergo, ma che si sente tale perché va a teatro, legge, mette la scuola al primo posto, si aggiorna. Una città che si è finalmente collegata al territorio circostante, ne valorizza il paesaggio e lo rende attrattivo anche per i turisti, recupera l’orgoglio del grande fiume e attraverso il Po si connette al Delta e alle valli. Un città come era un tempo, immersa in una scenario paesaggistico fra i più belli e meglio conservati d’Europa. E che fa di questo legame un’occasione culturale, ma anche un’opportunità economica e turistica attraverso la nuova rete fluviale. Immagino nuovi poli aggregativi a palazzo Massari che non sarà più museo ma spazio culturale e ricreativo aperto ai giovani e agli anziani, un salotto esperienziale a casa Minerbi – legato al ‘polo delle carte’ – dove si potranno udire le voci di Ravenna, Minerbi e Bassani. Penso al completamento entro tre anni del museo della Shoah per il quale sono in arrivo nuovi finanziamenti.
Mi immagino anche un petrolchimico in grado di tornare ad essere al vertice della ricerca come è stato in passato, che prende a fare nuovi polimeri e nuove materie plastiche operando però su basi vegetali, tornando a essere al vertice dell’innovazione e della ricerca. E in ambito produttivo, con l’insediamento delle manifatture Berluti, intravedo delinearsi la possibilità di un distretto connesso alla lavorazione della pelle.
Emerge da questa immagine una visione di città che si è faticato a scorgere in questi anni, lei ne è consapevole?
A me non piace fare l’elenco dei sogni, non conto balle, io sono legato alla concretezza del fare. In questi anni di crisi, di tagli e di incertezze è stato difficile gestire e arduo programmare. Le cose che ora annuncio non sono desideri ma progetti finanziati che si potranno realizzare grazie a un lungo e paziente lavoro svolto per reperire risorse e mettere insieme i partner per le varie operazioni. Non tutto dipende solo da noi, ma il fatto che noi siamo così determinati contribuisce a rendere solida e credibile la prospettiva.
Posso aggiungere, visto che me lo chiede, che mi piacerebbe creare un museo della città per colmare una lacuna in una realtà che pure ha una solida rete museale; e dico che lo vedrei bene collocato negli spazi del castello estense. E sono d’accordo sul fatto che via Volte andrebbe valorizzata: io ci vedrei bene le botteghe artigianali, ma su questo attendiamo suggerimenti da parte delle categorie economiche.
L’orgoglio principale di questo suo primo mandato da sindaco?
Avere lavorato tanto e in uno spirito autentico di squadra.
Qualcosa che ha fatto o non ha fatto e di cui si è pentito?
La crisi ha dimostrato che non è sufficiente difendere la spesa sociale a favore di bambini e anziani. Sono soddisfatto di avere incrementato i fondi per il settore casa, ma bisogna intervenire con urgenza per affrontare i drammi connessi alla perdita del lavoro che ha colpito tante persone e tante famiglie e rafforzare le risorse per sostenere adeguatamente i bisogni dei soggetti più fragili.
Un ultimo pensiero, sindaco, da parte della principale autorità civile rivolto alla principale autorità religiosa della città, questo nuovo vescovo che appare molto distante dal messaggio e dalla sensibilità espresse da papa Francesco. Monsignor Negri in questi mesi ha assunto posizioni ed espresso giudizi che hanno suscitato vivaci polemiche anche al di fuori del perimetro di città. Le che ne pensa?
Che il vescovo si è dimostrato un uomo combattivo e diretto. Ma credo incominci a comprendere la nostra città.
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Sergio Gessi
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