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Ieri la Commissione Europea ha proposto un interessante documento sulla economia circolare; si tratta di un ambizioso pacchetto di misure per promuovere la transizione dell’Europa verso un’economia che aumenterà la competitività globale, sosterrà la crescita e genererà nuova occupazione. Ambizioso e importante. Segue di poco tempo, e non è un caso, la presentazione del piano rifiuti della Regione Emilia Romagna, di cui ho già scritto [leggi qua].
Partirei dal definire cosa si intende per economia circolare. Serve una premessa: non basta operare come si è fatto fino ad ora applicando metodologie lineari dell’uso e poi getto. La crescita economica impone regole più intelligenti e sostenibili perché abbiamo compreso che le risorse naturali non sono infinite. Il mondo globalizzato ha bisogno di nuove soluzioni in ottica sostenibile. Questa è la vera scommessa; mettere l’economia a disposizione dell’ambiente perché rientra nell’interesse economico utilizzare al meglio le risorse; dunque da economia dissipativa a economia sostenibile.
Preferisco citare a questo punto le parole indicate dalla Commissione europea: “In un’economia circolare il valore dei prodotti e dei materiali si mantiene il più a lungo possibile; i rifiuti e l’uso delle risorse sono minimizzati e le risorse mantenute nell’economia quando un prodotto ha raggiunto la fine del suo ciclo vitale, al fine di riutilizzarlo più volte e creare ulteriore valore. Questo modello può creare posti di lavoro sicuri in Europa, promuovere innovazioni che conferiscano un vantaggio competitivo e un livello di protezione per le persone e l’ambiente di cui l’Europa sia fiera, offrendo nel contempo ai consumatori prodotti più durevoli e innovativi in grado di generare risparmi e migliorare la qualità della vita”. Sembra semplice, intuitivo e condivisibile. Ma come si fa?

Si parte da modifiche legislative necessarie a supportare un piano di azione globale che indichi prioritario aumentare il riciclaggio e ridurre il collocamento in discarica. Questo però lo diciamo da tempo. La novità sta nell’ includere anche un certo numero di “azioni mirate alle barriere del mercato in specifici settori o flussi di materiali, come la plastica, gli sprechi alimentari, le materie prime essenziali, la costruzione e la demolizione, la biomassa e i bioprodotti nonché misure orizzontali in settori come l’innovazione e gli investimenti” e questi cominciano ad essere concetti nuovi.
Preferisco ancora citare il documento: “La prevenzione dei rifiuti, la progettazione ecocompatibile, il riutilizzo e misure analoghe possono generare risparmi netti per le imprese europee pari a 600 miliardi di euro, ossia l’8% del fatturato annuo, riducendo nel contempo l’emissione di gas a effetto serra del 2/4%. Nei settori del riutilizzo, della rigenerazione e della riparazione, a titolo di esempio, il costo per rigenerare i telefoni cellulari potrebbe essere dimezzato se fosse più facile smontarli. Se il 95% dei telefoni cellulari fosse raccolto si potrebbero generare risparmi sui costi dei materiali di fabbricazione pari a oltre 1 miliardo di euro. Il passaggio dal riciclaggio alla rimessa a nuovo dei veicoli commerciali leggeri, i cui i tassi di raccolta sono già elevati, potrebbe far risparmiare materiali per oltre 6,4 miliardi di euro l’anno (circa il 15% del bilancio per i materiali) e 140 milioni in costi energetici, riducendo inoltre le emissioni di gas a effetto serra di 6,3 milioni di tonnellate”.

E queste sono cose molto nuove. Bisogna dunque sostenere la riparabilità, la durabilità e la riciclabilità di prodotto nell’ambito di piani di lavoro basati sulla progettazione ecocompatibile, preparare un programma per contribuire a identificare le questioni connesse alla potenziale obsolescenza programmata; proporre requisiti intesi a semplificare lo smontaggio, il riutilizzo e il riciclaggio degli schermi elettronici; proporre di differenziare i contributi finanziari versati dai produttori nell’ambito di un regime di responsabilità estesa del produttore basato sui costi del fine vita dei loro prodotti, prevedere requisiti proporzionati in materia di disponibilità delle informazioni sulla riparabilità e dei pezzi di ricambio nelle proprie attività sulla progettazione ecocompatibile; lavorare per una migliore applicazione delle garanzie sui prodotti materiali ed esaminare le possibilità di miglioramento nonché affrontare le false etichette verdi. Questa è una vera rivoluzione non solo culturale, ma industriale. Le misure previste per la sostenibile gestione dei rifiuti richiede :
– di fissare l’obiettivo comune UE di riciclare il 65% dei rifiuti urbani entro il 2030;
– di fissare l’obiettivo comune UE di riciclare il 75% dei rifiuti di imballaggio entro il 2030;
– di fissare un obiettivo vincolante di collocamento in discarica per ridurre tale pratica al massimo al 10% di tutti i rifiuti entro il 2030;
– di rafforzare la collaborazione con i vari Stati per migliorare concretamente la gestione dei rifiuti;
– di semplificare e migliorare le definizioni della terminologia relativa ai rifiuti e armonizzare i metodi di calcolo;
– di garantire la gerarchia Ue dei rifiuti (che fissa un ordine di priorità dalla prevenzione allo smaltimento, passando per la preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio e il recupero energetico);
– di proporre criteri minimi relativi a un regime di responsabilità estesa del produttore, che preveda di ricompensare i produttori che commercializzano prodotti più verdi e ne incoraggiano il recupero e il riciclaggio alla fine del ciclo di vita.
La Commissione ha promesso che per promuovere l’innovazione e gli investimenti e affrontare le questioni orizzontali metterà a disposizione dei finanziamenti (Orizzonte 2020, Cosme, i fondi strutturali e di investimento, il fondo per gli investimenti strategici Feis e altri programmi dell’Ue).
L’economia circolare ha infatti bisogno di più ricerca e innovazione per espandere la competitività dell’industria europea.
Che sia la volta buona ?

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Andrea Cirelli

È ingegnere ed economista ambientale, per dieci anni Autorità vigilanza servizi ambientali della Regione Emilia Romagna, in precedenza direttore di Federambiente, da poco anche dottore in Scienze e tecnologie della comunicazione (Dipartimento di Studi Umanistici di Ferrara).

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