Da una parte la paura, dall’altra la speranza. A rappresentare con efficacia il contrasto, ecco il montaggio (non casuale) di un servizio del Tg3 che, nei giorni di Gorino, mostra in rapida sequenza prima i volti tirati dei residenti che sibilano “noi siamo buoni e pacifici, finché non ci invadono…”; e di contrappunto l’espressione serena di una ragazza di Sarajevo – che gli invasori li ha conosciuti davvero -, la quale racconta come la sua casa sia crollata sotto le bombe e lei, fuggita dal dramma a un passo dalla laurea, abbia ricominciato tutto daccapo a Ferrara e abbia poi raggiunto il traguardo degli studi nel nostro ateneo pur dovendo ripetere tutti gli esami. E lo dice senza rancore per nessuno, con lo sguardo limpido, auspicando un futuro migliore per tutti, parlando con consapevole lucidità dei problemi che ci attraversano.
E’ racchiuso in queste due immagini contrapposte il senso della tragedia che stiamo vivendo. C’è chi sbarra occhi, cuore e cervello davanti a una realtà che, piaccia o non piaccia, va affrontata con raziocinio e non con i forconi. E c’è chi invece si prodiga, non si arrende, persevera nella ricerca e caparbiamente insegue l’orizzonte di un’esistenza degna.
Occorre forse rispolverare un post-it della memoria per comprendere davvero il dramma attuale. Lo sfruttamento coloniale delle potenze occidentali in Africa ha causato duecentocinquanta milioni di morti. A proposito di invasi e invasori… Un giogo durato più di quattro secoli (di cui permane tuttora la sudditanza economica) segnato da schiavitù, barbarie, feroci ingiustizie, depauperamento selvaggio di ogni risorsa mineraria e agricola (basti pensare a diamanti, rame, oro, zucchero, cotone, cocco, té, caffé, caucciu che hanno fatto la fortuna degli imperi d’occidente e dei suoi mercanti). I contrasti di oggi sono figli delle nostre colpe, non possiamo ignorarlo. Frutto della sopraffazione nei confronti di popolazioni inermi. Non dimentichiamolo.
Poi, con questa consapevolezza ben fissata in testa, possiamo ragionare dell’oggi e valutare seriamente, accanto al dovere di solidale accoglienza, anche le problematiche che spesso s’accompagnano ai fenomeni migratori, a cominciare dal dramma della criminalità, e le conseguenti necessarie forme di tutela da adottare. Ma senza scivolare nella massificazione dei giudizi e senza dimenticare lo sfruttamento operato dalle cosche nostrane (gente italica, per intenderci) che speculano su questi drammi e sulla fragilità di chi ne è protagonista; ricordiamoci dunque anche delle vergognose ruberie perpetrate di frequente pure dai colletti bianchi di casa nostra, che prosperano sulla miseria e fanno business a tutti i livelli, dall’accoglienza, all’assistenza, all’inserimento lavorativo, con caporali e generali sempre all’opera…
E poi consideriamo che se questo risulta per molti il tratto più appariscente dell’immigrazione, non è però quello dominante. In media si macchia di reati un immigrato su quattro: non è poco ma non ci deve far scordare dei tre che si comportano correttamente. Pensiamo quindi anche alla maggioranza dei migranti che fra mille difficoltà vivono pacificamente fra noi, contribuendo con il loro lavoro al soddisfacimento di nostri bisogni, svolgendo spesso occupazioni che noi e i nostri figli rifiutiamo.
Certo, lo sappiamo: al fondo, in tanti prevale l’irrazionale timore dello straniero. E questo è un baratro pericoloso perché obnubila la mente. Il coraggio, si dice, genera eroi. E la paura, invece? Quando prevale non c’è da attendersi nulla di buono. La paura si nutre di mostri e da essa scaturiscono altri mostri. La paura induce chi ne è preda a rinserrare il chiavistello e a premere il grilletto al primo rumore sospetto. E’ successo, succederà sempre. Nella comunità impaurita il singolo smarrisce la propria umanità e si annulla in una moltitudine berciante, popolata di sceriffi, giustizieri fai da te pronti a emettere sentenze ed eseguire condanne. Per questo il grido “restiamo umani” è ben più di uno slogan. E’ un’invocazione all’intelletto, l’antidoto al terrore che si genera a ogni strage e in ogni frangente in cui l’individuo sente insidiate le proprie sicurezze. L’istinto di vendetta è atavico, la volontà di sopraffare per non essere sopraffatti, pure. Ma secoli di storia e di progresso ci devono rendere più forti degli impulsi. E aiutarci a comprendere che, se non vince la razionalità, tutti perderemo tutto, in un titanico scontro che lascerà solo macerie fumanti sulla crosta di un mondo già agonizzante, segnato da violenza, sopraffazione, guerre sanguinose. Un mondo ormai al limite del collasso civile e ambientale, a causa della miopia e degli egoismi di quella specie mai estinta che è l’uomo-rapace, di ogni razza, credo o colore che sia.
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Sergio Gessi
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