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Scende sotto zero la febbre da Expo per il Parco del Delta del Po, il tentativo delle due Regioni Emilia-Romagna e Veneto, di candidare il delta come area ambientale di pregio irripetibile non ha dato i risultati sperati. Ancora una volta l’identità amministrativa ha avuto la meglio e il delta è stato escluso dalla rosa delle riserve ambientali candidate al programma dell’Unesco Uomo e biosfera (Mab) 2013-14. Lo ha deciso l’International Advisory Committe for Biosphere e Reserves, che ne ha rinviato l’esame d’ammissione. Sembra così allontanarsi la possibilità di partecipare all’esposizione universale del 2015 con un’operazione di marketing turistico-territoriale avviata fin da marzo, quando Emilia-Romagna, Veneto e in particolare la nostra Provincia, avevano annunciato di volere gestire in modo unitario la riserva candidata Mab. Un’affermazione che si è scontrata con la complessità ambientale di un’area molto vasta tanto da non aver convinto Unesco e che non tiene conto della legge del ’91, la 394, che prevede per la gestione unitaria un parco interregionale o nazionale.

L’annuncio del superamento delle pastoie burocratiche dato in primavera dalla presidente della Provincia Marcella Zappaterra era stata salutata con entusiasmo dal Consorzio Visit Ferrara e da molti operatori turistici il cui intento è aumentare le 100 mila presenze denunciate. Speravano di farlo con l’ausilio di un parco unico, più facile da “vendere” all’estero, approfittando della vetrina veneziana e di quella Expo di Vigevano dedicata alle riserve naturali eccellenti. Il luogo ideale per fare valere la strategia slow e naturalistica giocata sull’unicità dell’ambiente tra terra e acqua, su ciclo e pesca-turismo, sulle tipicità di terra e mare come riso, vongole, cozze e anguilla. Ma il progetto resta un sogno nel cassetto. Per gli operatori e la presidente della Provincia.

Il Parco del Delta del Po, diviso in due, con tanto di leggi diverse che ne regolano il funzionamento, arranca nel disegnare una nuova e più produttiva identità, che tenga conto della salvaguardia dell’habitat e di uno sviluppo sostenibile a beneficio dell’economia e di conseguenza degli imprenditori locali i quali hanno aderito al patto di sviluppo, 20 milioni di euro di fondi pubblici, con l’intenzione di investire nella costruzioni di villaggi “leggeri” per ospitare i turisti e con l’impegno di contribuire all’adeguamento idraulico-fognario di Comacchio. L’operazione è andata in porto con il benestare di Comune di Comacchio, Provincia e Ente per la biodiversità poco dopo l’annuncio dell’unitarietà di gestione relativa alla riserva Mab.

I 139 mila ettari di superficie, le 16 municipalità coinvolte e raccolte attorno all’unico delta italiano, le località turistiche, l’importanza delle attività agricole, di pesca e il coinvolgimento degli stakeholders non ha spostato di una virgola il giudizio finale del Consiglio Internazionale di coordinamento Mab. La candidatura resta al palo. Quali sono i motivi? A quando pare non c’è chiarezza sulla gestione delle aree ad alta naturalità, definite “core”, e nemmeno sul coordinamento del parco la cui governace è talmente complicata da risultare poco gestibile. C’è di più: la visione di riserva naturale del versante emiliano romagnolo differisce da quello veneto, senza contare che sia da una parte che dall’altra sono in vigore piani di gestione tanto vincolanti da azzerare il valore aggiunto della riserva. Un altro tasto dolente è l’assenza di una strategia per gestire le acque e la loro qualità proprio in un’area dove le coltivazioni sono presenti in modo massiccio. In poche parole: parco rimandato. Con buona pace di chi sperava di raccogliere i frutti di una primavera di grandi accordi. Evidentemente non si sono fatti i conti con Unesco e, a dirla tutta, neanche con l’Europa da cui vengono molti dei finanziamenti utili a ristabilire i fragili equilibri di un habitat manomesso dalle attività dell’uomo al punto di comprometterne non solo il paesaggio, ma anche la sopravvivenza.

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Monica Forti

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