Sovranismi: strumento del popolo contro i trattati europei liberisti
Tempo di lettura: 5 minuti
‘Sovranismi‘ è l’ultimo libro di Alessandro Somma, professore ordinario alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Ferrara dove insegna Diritto Comparato. Un libro che si propone di fare luce su un argomento molto attuale, entrato nel dibattito politico soprattutto a seguito dei risultati elettorali del 4 marzo 2018 che hanno visto vincere proprio i partiti definiti ‘sovranisti’ (oltre che populisti e a volte di estrema destra, in particolar modo la Lega). Da allora l’argomento spopola sui giornali e nei dibattiti tv.
Se ne parla tanto, ma in molti casi senza comprenderne a pieno il significato, confondendo sovranismo con nazionalismo, autarchia e persino razzismo. Facendone in sostanza una mera questione di apertura o chiusura dei confini. Importante dunque provare ad approfondire il tema.
Il libro è stato presentato martedì scorso all’Ibs+Libraccio con una buona affluenza di pubblico, circa una sessantina di persone. Dialogavano con l’autore, oltre al sottoscritto come collaboratore del Gruppo Economia di Ferrara, Carmine Marciano del Fronte Sovranista Italiano, una formazione che si ispira ai valori della Costituzione e Ugo Boghetta, ex deputato di Rifondazione Comunista ed attualmente ispiratore dell’associazione Rinascita (socialista). All’organizzazione dell’evento ha partecipato anche l’associazione Patria e Costituzione, la nuova ‘creatura’ politica di sinistra di Fassina.
Il punto fondamentale del libro di Somma è indagare se sia possibile un sovranismo che abbia i valori della sinistra, valori di condivisione e cooperazione da contrapporre alla concezione autoritaria di destra che solitamente viene associata a questo termine. Inoltre, se i trattati europei, nati per tenere uniti Paesi con diversi fondamentali economici, sociali e culturali, includano i valori tutelati dalla nostra Costituzione, fondanti di quel patto sociale votato nel 1948 e da noi ereditato.
Il sovranismo statale, spiega Somma, serve per determinare l’uguaglianza e la redistribuzione all’interno di una società e quindi realizzare la sovranità popolare e la democrazia come la conosciamo. Quando si elimina la sovranità statale si rendono le forze dell’economia sovrastanti, si spoliticizza l’economia e questa prende il sopravvento bloccando il processo di redistribuzione e quindi di realizzazione dell’uguaglianza. Di conseguenza, si mortifica sia la sovranità popolare che la democrazia stessa.
Durante il periodo cosiddetto dei “30 gloriosi”, ovvero durante quel periodo storico che va dalla fine della Seconda Guerra mondiale alla metà degli anni Settanta, si era raggiunto un buon compromesso tra il capitalismo e la democrazia, interrotto dai rigurgiti liberisti che cominciarono a intravedere la possibilità di riportare in auge le esigenze delle élite grazie all’aumento dell’inflazione e della disoccupazione, a cui le politiche keynesiane sembravano non riuscire più a dare delle risposte soddisfacenti.
Ugo Boghetta riassume che fu proprio la sinistra ad aprire la strada alla rivincita del capitalismo con Challaghan in Inghilterra (Primo Ministro nel 1976), che spianò la strada all’opera liberalizzatrice della Thatcher, e Mitterand in Francia (1983), partito socialista e finito neoliberista. Questi, seguiti poi dalla sinistra italiana, abbandonarono la possibilità di rispondere alla crisi con l’intervento statale, con un maggiore controllo del sistema di produzione e con la tutela del lavoro iniziando invece la lunga stagione dei tagli alla spesa pubblica e alla moderazione salariale.
Sullo spinoso capitolo dei trattati europei, all’unisono i relatori dai propri diversi punti di vista, hanno concordato che questi si fondano su necessità economiche, sulla libertà di movimento per capitali e merci e sulle esigenze dei mercati, i quali non contengono elementi democratici, ma sono spinti dall’impulso della concorrenza e, di conseguenza, poco inclini a prendere in considerazione le necessità dei cittadini. In un tale sistema sono spread e borse a decidere quanti ospedali sia possibile costruire e quanti medici assumere oppure se il livello dei salari sia adeguato o meno.
In una costruzione sovranazionale costruita intorno al trattato di Maastricht diventa fondamentale il controllo dell’inflazione e dei debiti pubblici, in continuazione con quanto si era scelto di fare dagli anni Ottanta. Lo scopo è mettere al sicuro il rendimento dei capitali a spese del lavoro, che è costretto ad adattarsi ad alti tassi di disoccupazione, a bassi salari e alla mobilità, non solo dei capitali e delle aziende, ma anche della stessa forza-lavoro.
Anche qui Somma ha delineato il percorso attraverso il quale l’economia è risuscita a rendere lo Stato il meno invadente possibile al fine di trasformare le leggi dell’economia in leggi dello Stato. Dopo la crisi del 1929 gli Stati intervennero perché era necessario uscire dalla crisi che ne era conseguita e lo fecero iniziando dal New Deal del presidente americano Roosevelt e adottando le politiche keynesiane che prevedevano spesa statale e controllo dell’economia. Lo Stato allora intervenne ponendo anche forti limiti allo strapotere della finanza con leggi che separavano l’attività finanziaria da quella commerciale.
Dagli anni Ottanta è stata una rincorsa allo smantellamento di tutte le difese che lo Stato si era costruito e anche dopo la crisi del 2008 l’intervento dello Stato non è avvenuto per tutelare i cittadini, ma solo per salvare il sistema. Tutti gli aiuti sono stati indirizzati alla finanza e alle banche, in sostanza a coloro che avevano provocato la crisi.
Tutto questo dimostra l’importanza della presenza dello Stato, unico soggetto titolato a difendere i più deboli e le categorie disagiate al di là di ogni profitto e a scapito e controllo dei mercati, che agiscono per interessi privati e certamente non di giustizia sociale. Il sovranismo in tale contesto appare necessario per dare una solidità alle istanze che provengono dal popolo dando a questi una cornice dove esercitare la propria indipendenza, cornice che i trattati europei negano in quanto basati sulla supremazia dell’economia e impossibili da riformare non solo perché ogni modifica richiede l’unanimità, in un contesto tanto frastagliato di interessi nazionali, ma anche perché, spiega Somma, riflettono i principi ordoliberisti della Carta fondamentale tedesca. Il che significa che se si volesse cambiare i trattati bisognerebbe cambiare anche la costituzione tedesca, una vera ‘mission impossible’.
Sostieni periscopio!
Claudio Pisapia
Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it