da: Roberto Soffritti
Quando all’analisi e all’approfondimento si preferisce il livore e l’approssimazione, non si offre un buon servizio ai lettori, che poi sono prima di tutto cittadini, protagonisti di una comunità di donne e di uomini. Così, l’articolo di Sergio Gessi [leggi], dedicato all’iniziativa organizzata dall’associazione “Pluralismo e dissenso” con il sottoscritto, più che una riflessione, ha assunto il tono della chiacchiera, insomma: più che una voce autorevole si è levato un indistinto brusìo.
Se una delle ambizioni più grandi del sito di Gessi è quella di offrire “una chiave di interpretazione dei fatti”, come si declama con enfasi nella home page, bisognerebbe avere l’obbligo di raccontare prima di tutto i “fatti”, eventualmente prima di emettere verdetti e imbastirli con qualche nota di colore. Gli incontri organizzati da “Pluralismo e dissenso” con gli ultimi tre sindaci di Ferrara, intervistati pubblicamente da cinque giornalisti, dovrebbero avere l’utilità di fissare un pezzo di storia della città e fornire possibilmente indicazioni sulla strada da percorrere per uscire dal pantano della crisi che, anche nella nostra città si palesa, purtroppo, in alta disoccupazione e scarsi investimenti.
L’autore dell’articolo, in un’improbabile ricostruzione storica del mio lungo mandato, definisce innaturale il dialogo tra le forze di sinistra e quelle del centro democratico. E’ così insolita la collaborazione tra i principali estensori della Costituzione della Repubblica italiana? Inoltre, in un commento ai limiti del qualunquismo, Gessi accosta il “fare” al “malaffare”, affianca questioni politiche a questioni giudiziarie e affronta aspetti che non riguardano assolutamente la mia attività di sindaco di Ferrara.
Non un fatto documentato: l’articolo sembra avere il solo intento di “processare” una politica che ha avuto il merito di cambiare in meglio la città, di mettere in connessione la politica con il mondo produttivo, come è giusto che sia in un’amministrazione della cosa pubblica che si vuole – giustamente – efficiente e trasparente.
In maniera superficiale, si addita la politica del “fare sul serio” finendo per condannare un territorio all’immobilismo deleterio, perché a questo porterebbe il metodo sbandierato dall’autore. Non un fatto, dicevo, perché non esistono condanne, anzi: chi, come la parlamentare europea Laura Comi, ha tentato di gettare fango sulla mia attività di amministratore, ha incassato una sonora condanna in Tribunale.
Piaccia o no all’autore, questione morale e questione giudiziaria sono distinte e tra il fare e il malaffare c’è di mezzo una “zona nera” in cui si decide la morte dell’intero territorio e l’arricchimento di pochi.
Ecco, guardando indietro ai miei sedici anni alla guida della città potranno anche emergere degli errori, ma rivendico una politica fatta di obiettivi definiti e raggiunti. Primo fra tutti: dare un futuro a Ferrara. Da qui, la necessità di far incontrare la politica con il mondo produttivo; la creazione di un rapporto più intenso e costruttivo con le imprese al fine di facilitare gli insediamenti di nuove attività; la creazione di un modello culturale che deve continuare a consolidarsi e dare un impulso alla ripresa economica.
I recenti dati sull’economia reale fotografano anche a Ferrara una situazione grave, con la disoccupazione che ha raggiunto vette preoccupanti. Ci si vuole permettere il lusso di non fare investimenti e condannare l’intera area alla recessione? Lenin diceva che per un vero rivoluzionario il pericolo più grave è l’esagerazione rivoluzionaria. Dunque, chi ambisce giustamente ad estirpare la cattiva politica e la degenerazione individualistica deve coltivare legami forti con il territorio. Solo così la città diventa “maestra dell’uomo”, ovvero dà una direzione, un senso, sviluppando un solido e benefico senso di appartenenza.
Questo ritengo sia il talento del buon politico. Poi c’è il talento di chi mente, il talento di chi non ne ha altri.
Roberto Soffritti
Risponde Sergio Gessi
Caro Soffritti, i “fatti” ai quali si appella sono noti e ampiamente dibattuti. Per questo nel commento proposto ai lettori [leggi] m’è parso sufficiente richiamarli alla memoria senza doverli puntualmente rendicontare. E’ legittimo avere opinioni differenti: la mia, per esempio, è che ciò che lei considera un “dialogo tra le forze di sinistra e quelle del centro democratico” fosse in realtà una sistematica prassi di concertazione politica, strategica e gestionale fra forze di maggioranza e di opposizione, condotta al di fuori degli ambiti istituzionali e dunque sostanzialmente e formalmente inaccettabile. Ma non voglio ripetermi. Solo un’altra annotazione in risposta alle sue considerazioni: i “legami forti con il territorio” e il “senso di appartenenza” non bastano per “estirpare la cattiva politica”; anche la mafia ha forti legami territoriali e solido senso di appartenenza. Piuttosto, a guidare l’azione del buon politico è indispensabile una salda bussola valoriale.
Infine, per quanto mi riguarda, prima di giudicare cerco sempre di ascoltare e di comprendere: a volte ci prendo a volte sbaglio. In ogni caso, stia certo, la menzogna è pratica a me totalmente estranea.
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