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Da MOSCA – Oggi si chiude il sipario sui giochi Olimpici invernali di Sochi 2014 e con essi la Mostra “La Russia alle Olimpiadi” del Moscow Multimedia Art Museum (MAMM) allestita, per l’occasione, dal 6 al 23 febbraio. Termina anche il nostro Focus Russia, il che non significa che non scriveremo più di questo Paese pieno di curiosità, bellezze, sfide e contraddizioni, ma che, semplicemente, non lo faremo con una frequenza giornaliera, come avvenuto in occasione di Sochi. Com’è giusto che sia.

Dicevamo, si chiude oggi, a Mosca, la mostra dedicata alla storia della partecipazione russa alle Olimpiadi, al MAMM, uno dei musei più chic della città, diretto dalla regista e critica d’arte Ol’ga L’vovna Sviblova, dal 2010 alla testa di questo modernissimo museo multimediale (ex Casa della fotografia, fondata da lei stessa nel 1996) e, nel 2011, definita dalla rivista ArtChronika come una delle tre persone più influenti dell’arte russa. Nelle sale del primo piano del Museo, al numero 16 dell’elegante via Ostozhenka, possiamo ammirare una serie di scatti ironici e divertenti, ma anche tormentati e sofferti. Come quelli di Anato’ly Gara’nin, impegnato a fermare il lancio del giavellotto di Alexandra Ciu’dina, o del sorriso di Misha, la mascotte delle Olimpiadi di Mosca 1980, di cui abbiamo parlato nel primo articolo del Focus. In un’intervista rilasciata all’inaugurazione della stessa Mostra, la Sviblova, ha spiegato che “dalla metà anni ’30, quando subentrano il realismo socialista e le sue regole ferree, lo sport diventa un territorio di libertà, dove l’uomo con il suo corpo può raggiungere quello che, in genere, sembra impossibile. Era terribilmente interessante mostrare quello che i nostri fotografi hanno saputo fare. A cominciare da Lev Borodulyn che, subito dopo la guerra, prende il testimone da Rodchenko in questa staffetta del liberty e che, ancora ai tempi dell’Urss, in un Paese chiuso, vince tutti i premi internazionali, possibili e impossibili”.

Il movimento olimpico in Russia si è sviluppato e consolidato a partire dal XX secolo. Nonostante gli sforzi di appassionati come il Generale Alexei Dmitrievich Butovsky (amico personale del barone de Coubertin e primo membro russo del Comitato Olimpico Internazionale – CIO) o il Conte Georgy Ivanovic Ribopier, che gli successe al CIO, la partecipazione iniziale ai Giochi Olimpici da parte dei rappresentanti russi fu principalmente a iniziativa di privati​​. La carta del Comitato Olimpico russo è stata ratificata nel 1912, grazie a sostegno e finanziamenti statali. La Russia è stata rappresentata alle Olimpiadi di Stoccolma del 1912 con ben 178 atleti, all’epoca una delle squadre più grandi. Dopo il 1912 non vi fu alcuna ulteriore partecipazione, fino ai Giochi Olimpici di Helsinki del 1952, questa volta da parte di un team sovietico. In quei giorni veniva istituito il Comitato Olimpico dell’URSS riconosciuto dal CIO. L’interesse per i successivi Giochi è stato notevolmente rafforzato da quest’ affiliazione tra il Paese e il movimento olimpico. Per l’URSS, la partecipazione ai Giochi era un potente fattore politico e ideologico. I successi dello sport sovietico erano diventati parte dell’ideologia di massa, un oggetto di meritato orgoglio nazionale sullo sfondo della complessa storia del paese. Le immagini scattate da importanti fotografi sono di grande rilievo e interesse, proprio per la scala di questi eventi, capaci di rendere la storia dello sport visibile, catturando record mozzafiato, volti di campioni ed emozioni di tifosi. I volti dei vincitori delle medaglie alle Olimpiadi di Helsinki del 1952, come quelli di Yuri Tyukalov (vogatore), di Viktor Chukarin (ginnasta, vincitore di quattro medaglie d’oro) e di Maria Gorokhovskaya (ginnasta), sono diventati famosi in Russia, grazie al fotogiornalismo di Anatoly Garanin (filmati di RIA Novosti, l’agenzia d’informazione russa). Le fotografie degli inviati speciali Dmitri Kozlov, Boris Málkov, Leonid Lorensky, Yuri Somov, Dmitri Donskoi e Sergei Ilyin mostravano i momenti più suggestivi di gare in diverse discipline sportive: sci di fondo, ginnastica  scherma, biathlon, hockey su ghiaccio e pattinaggio artistico. Scatti di pattinatori e di giocatori di hockey, così come quelli delle medaglie d’oro vinte alle Olimpiadi invernali del 1956, 1964, 1968, 1972, 1976, 1984, 1988 e 1992, segnavano l’apoteosi del successo dello sport sovietico. Come nell’antica Atene, il paese doveva conoscere i nomi e i volti dei suoi eroi nazionali. Classici della fotografia sovietica, come Dmitri Baltermants, Alexander Abaza e Lev Borodulin (al quale, peraltro, il MAMM ha recentemente dedicato una retrospettiva), si distinguevano per le sottili sfumature psicologiche che riuscivano a dare ai loro ritratti di sportivi e di momenti sportivi critici. Le Olimpiadi di Mosca del 1980, se pur boicottate dagli Stati Uniti a causa dell’Afghanistan, hanno portato le prime immagini a colori.

La Mostra presenta tutto questo. Da allora atleti, immagini e riprese video si sono estremamente evolute, ma il grande orgoglio nazionale ne ha sempre fatto da sfondo imponente. A Sochi le polemiche sono state tante e, ora come allora, varie forme di boicottaggio hanno messo in discussione il vero spirito di queste celebrazioni, ossia lo sport e la sua forza, la sua capacità di coesione, la sfida ai propri limiti personali, la voglia di vincere e vincersi. Con la chiusura dei giochi di Sochi non finiranno sicuramente le polemiche, ma almeno avremo visto tanto bello sport.

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.


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