Da quasi due settimane c’è uno spettro che si aggira nel mio cervello: è lo spettro di Sigmund Freud.
Non riesco a smettere di pensare a quest’uomo e alla sua opera, non riesco a smettere di pensare a cosa ci ha rovesciato addosso.
Ho persino rischiato di farmi menare mentre discutevo sul lascito di quest’uomo e – soprattutto – della sua opera.
La mia domanda è: avevamo davvero bisogno di quest’uomo e – soprattutto – della sua opera?
Ma la mia vera domanda è: avevamo davvero bisogno di toccare certi argomenti come ha fatto quest’uomo?
Ordunque mi tolgo subito il bubbone: confesso che quando penso a Sigmund Freud lo vorrei ammazzare ma purtroppo è già morto da molti anni.
Da questa mia confessione si evince dunque che: a quest’ora stavamo comunque bene – anzi meglio – senza la mefitica opera di quel cocainomane maledetto.
Me ne rendo conto, questa cosa che dico potrebbe sembrare una stronzata ma dico io: non è forse una stronzata pure quella sua storia del sigaro?
Insomma: ognuno ha i suoi problemi, io ho i miei – e posso garantire che a volte diventano davvero ingombranti – ma questo mi autorizza forse a impacchettarli con della carta millimetrata al fine di renderli apparentemente, gradevolmente, ciarlatanamente scientifici?
Direi di no.
Ma da quando quest’uomo si è sentito in dovere di ammorbarci molti altri uomini si sono sentiti in dovere di ammorbarci.
Ed è questo il vero lascito del sempre sed-i-ucente Sigmund Freud: una fornitura a vita di limbi in cui far galleggiare la cacca impacchettata con della pregevole carta da regalo.
Quindi grazie, Sigmund Freud, grazie per averci fornito tutto questo.
Se non fosse per te non sarei qui a scrivere, non sarei qui a fumare 25 sigarette al giorno invece di guardare tutto il giorno tutto il porno gratuito presente su internet, non starei qui ad allenarmi col mio basso mentre qualcuno, davanti a me, si fa dei viaggi sulla fallibilità del mio approccio al basso elettrico.
Grazie mille Sigmund Freud ma dimmi: c’è differenza fra i sigari e le sigarette?
Grazie in anticipo e adesso, mentre attendo tue, vado un attimo in bagno e so che anche lì avresti qualcosa da dire.
Dirty Ass Rock’N’Roll (John Cale, 1975)
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