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Il 10 dicembre 1948, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò e proclamò la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani il cui primo articolo recita: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”. Quest’anno si festeggiano i sessantotto anni di questo che fu un atto rivoluzionario per l’intera umanità, nato dalle macerie di una guerra devastante quale fu la Seconda Guerra Mondiale: per la prima volta venivano sanciti a livello mondiale i diritti fondamentali spettanti agli esseri umani.

Nel suo preambolo si legge: ”Considerato che il disconoscimento e il disprezzo dei diritti umani hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell’umanità, e che l’avvento di un mondo in cui gli esseri umani godano della libertà di parola e di credo e della libertà dal timore e dal bisogno è stato proclamato come la più alta aspirazione dell’uomo”. Il disprezzo dei diritti umani porta inevitabilmente ad atti di barbarie che offendono l’umanità: sono sessantotto anni che il mondo assiste a guerre e genocidi che calpestano e rendono la Dichiarazione dei diritti dell’uomo quasi lettera morta.

Chissà se in Siria ci hanno pensato a questo anniversario: della guerra in Siria non interessa a nessuno. Il 15 marzo prossimo saranno sei anni che, sull’onda delle primavere arabe, scoppiarono in Siria manifestazioni senza precedenti contro la famiglia Assad che da quarant’anni detiene il potere (prima Hafez e poi, dal 2000, suo figlio Bashar). Scoppiò una guerra che tutt’oggi vede contrapposti il governo ufficiale di Assad, sostenuto dalla Russia e i ribelli anti governativi. In questo scenario già molto complesso si inserisce poi lo Stato Islamico (IS) che è riuscito a conquistare città strategiche come Kobane, poi liberata dai miliziani curdi. A farne le spese la popolazione civile: milioni di persone costrette a lasciare il proprio paese, rifugiandosi, prevalentemente, in Turchia e Libano; chi rimane è condannato a morire sotto le bombe o di fame. L’economia è al tracollo, la sanità non esiste praticamente più.

L’Occidente condanna e tentenna, di fatto non riesce a far niente di risolutivo. Sei anni di una guerra poco “popolare”: certo, ci sono le foto dei bambini siriani morti su Facebook sotto cui mettere tanti “like” o i video truculenti di bombardamenti ed esecuzioni capitali su Youtube, ma la coscienza civile non è coinvolta. E’ una guerra che non è penetrata dentro le nostre vite, non ci provoca il disgusto che meriterebbe. Forse perché concentrati su problematiche nazionalistiche oppure perché, strano ma vero, non sono coinvolti gli americani quali salvatori della democrazia occidentale. Se ne sta occupando la Russia e allora la faccenda sembra ancora più lontana da noi.

Forse si è troppo assuefatti ai bollettini di guerra: in Europa siamo sotto attacco terroristico da oltre un anno, non possiamo pensare anche ai siriani che muoiono come mosche in casa loro. E poi abbiamo i nostri clandestini a cui pensare: siamo buoni noi italiani e la nostra parte la facciamo abbondantemente. Abbiamo sempre le mani tese a soccorrere i naufraghi nel “mare nostrum”, ma non abbiamo braccia tanto lunghe da arrivare anche in Siria. Si fa quel che si può. All’epoca della guerra nella ex Jugoslavia la voce popolare si fece sentire: ci furono numerose manifestazioni e raccolte firme. Bono Vox cantava “Miss Sarajevo” e l’attenzione mondiale venne catalizzata su quella striscia di terra che si stava frantumando sotto i colpi di mortaio.

In Rwanda, dal 6 aprile alla metà di luglio del 1994, per circa 100 giorni, vennero massacrate, a colpi di machete o bastoni chiodati, quasi un milione di persone. Un milione di persone in cento giorni. Anche allora le notizie arrivavano puntuali in Italia, e in tutta Europa, tramite i notiziari e la carta stampata. Cosa è stato fatto? Niente. In Bosnia la guerra era in casa, il Rwanda dove si trova? Purtroppo l’Africa è ancora organizzata in tribù che si scannano tra loro, l’Africa è un mondo a se stante che ci siamo lasciati alle spalle con la fine dell’era coloniale. Ogni 27 gennaio si celebra la Giornata della Memoria: sei milioni di ebrei uccisi dalla follia omicida di un dittatore che sognava l’Europa abitata solo da persone di razza ariana.

Ogni 27 gennaio l’Europa celebra il proprio olocausto al grido di “PER NON DIMENTICARE”. Nessuno dimentica il passato, ormai si dimentica il presente. Un giorno per espiare le proprie colpe passate e tornare a pensare, il 28 gennaio, che una cosa così terribile non potrebbe più accadere. Ci si auto compiace del fatto di aver raggiunto un grado di maturità collettiva tale da indurci a riflettere un giorno all’anno ai misfatti passati.

Tra tanti anni sarà eletto un giorno per celebrare il massacro del popolo siriano: sarà il 15 marzo, a ricordo dell’inizio ufficiale delle rivolte contro il governo di Assad oppure il giorno in cui è morto l’ultimo bambino rimasto in quella terra insanguinata. Sarà il giorno delle lacrime e della memoria: magari qualche bella fiaccolata e la proiezione di un film strappalacrime alla Schindler’s List. Si malediranno i Potenti della Terra che lasciano morire le povere persone, si sentiranno per tv le testimonianze di qualche sopravvissuto a quell’orrore: ci si auto assolverà come non colpevoli per l’ennesimo “atto di barbarie” che ha celebrato il requiem di quello “spirito di fratellanza tra gli uomini” che la Dichiarazione dei diritti dell’uomo aveva stabilito come regola di vita universale.

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Simona Gautieri



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