SGUARDO INTERNAZIONALE
Barbarie, speranza e ottimismo secondo John Berger
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“Noi e “loro” come matrice del male. E la speranza come categoria distinta dall’ottimismo. L’incontro fra John Berger e Teju Cole è stata una miniera di stimoli, suggeriti con toni talvolta lirici, e pur non privi di ironia, da due scrittori che godono meritatamente di fama mondiale. L’impulso è venuto da Maria Nadotti, che ha con eleganza condotto il confronto. Riportiamo solo qualche pennellata come invito alla riflessione.
Molto si è ragionato attorno al linguaggio e all’identità. Ma poi da suggestioni più astratte e concettuali si è passati a misurarsi con i fatti della quotidianità e anche con i suoi orrori. “Quando osserviamo abominevoli crudeltà e le molte differenti forme in cui esse si manifestano – ha notato in proposito Berger -, ci domandiamo come esseri umani riescano a commettere tali atrocità. Io credo che la barbarie inizi quando creiamo la categoria che marca la differenza fra un ‘noi’ e un ‘loro’. E’ proprio questa definizione, quest’etichetta che ci consente e ci autorizza a trattare “loro” – gli altri – come feccia, perché sono meno umani di ‘noi’ e quindi indegni di rispetto”.
Il finale ha incluso il tema della speranza “che non va confusa con l’ottimismo. Speranza – ha sostenuto Berger – è la la fiamma di una candela, si vede meglio nell’oscurità. Ci sostiene nei momenti bui, nella difficoltà. La sua forza non deriva dalla spinta interiore dell’ottimismo, ma dalla memoria delle sofferenze passate e di come le abbiamo superata, dal ricordo dei martiri, di ciò che gli uomini sono riusciti a fare e a conquistare nella lotta, attraverso il loro impegno e il loro sacrificio. La speranza si lega dunque al senso di ‘complicità con gli altri’, esseri viventi, nascituri o morti che siano. L’uguaglianza, in termini di ideale presenza, è ciò che tiene viva la speranza”. E tutti in piedi ad applaudire.
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Sergio Gessi
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