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25 Luglio 2014

Sesso senza handicap

Tempo di lettura: 6 minuti


di Lorenzo Mattana

Anche in Italia arrivano gli assistenti sessuali per disabili

Carla è la classica madre coraggio. Vive da sola con suo figlio, Luigi, 24 anni che è tetraplegico spastico da sempre. Abitano in un piccolo paese della provincia di Napoli. Luigi ha bisogno di tutto: di essere imboccato, vestito, spogliato, lavato. Non può uscire da solo, andare in bagno per i suoi bisogni fisiologici. Senza qualcuno morirebbe di stenti. Ma secondo Carla, a suo figlio, manca anche qualcos’altro. E’ triste. E’ lei sa bene il perché. «E’ un uomo in un corpo che non gli permette quasi nulla. Penso che gli manchi una ragazza, l’amore e perché no, anche il sesso. Manca a me che ho 64 anni, figurarsi quanto può mancare a un ragazzo di 24 anni. Ogni tanto sento dei rumori quando lo lascio in camera da solo. Lo so che sta facendo, anzi, che sta provando a fare. In quelle occasioni faccio finta di nulla, anche quando devo cambiarlo perché si è bagnato…o almeno ci ha provato». Da madre che vive e sente i bisogni del proprio figlio, Carla non ha nessun dubbio. «Luigi avrebbe bisogno dell’amore. Ma l’amore chi glielo può dare? L’amore non si chiede, o c’è o non c’è. Allora almeno una donna che sappia dare piacere e orgoglio a un corpo che è solo fonte di dispiacere e disprezzo. Che c’è di male? Certo, Ci vogliono enti, associazioni a cui rivolgersi. Luoghi in cui trovare donne preparate che sanno cosa fare. Donne che comprendono il bisogno e che non sono sprovvedute davanti a corpi così diversi».
Quella di Carla e Luigi è solo una delle tante storie che si possono trovare nel blog di Maximiliano Ulivieri (www.ilfattoquotidiano.it/blog/mulivieri/), blogger e web designer toscano, ma ormai bolognese d’adozione. Max da anni porta avanti in Italia la battaglia per l’introduzione della figura dell’assistente sessuale per i disabili. Un tema che negli ultimi tempi è stato portato alla ribalta internazionale dal film “The sessions – Gli incontri” di Ben Lewin e in Italia dal libro di Giorgia Wurth “L’accarezzatrice”. All’inizio di luglio, con il suo “Comitato per la promozione dell’assistenza sessuale in Italia” ha lanciato le selezioni per il corso di assistente sessuale. «Non abbiamo ancora definito le date – spiega Ulivieri – l’idea è quella di iniziare i corsi in autunno o al massimo a gennaio 2015. Anche la sede è da decidere. Ci appoggeremo agli enti e ai luoghi che ci daranno più supporto, io mi auguro di riuscire a farli a Bologna. In ogni caso, andremo dove ci daranno più aiuto». Intanto, la ricerca dei futuri assistenti sessuali è iniziata e alla fine del mese a Roma ci saranno i primi colloqui con i candidati. Sul ruolo di questa figura e suoi compiti, neanche a dirlo, sono nate tante perplessità. Qualcuno già li definisce come puri e semplici “sex worker”, niente di più e niente di meno che prostitute o gigolò. Per Ulivieri, invece, il loro ritratto è molto differente. «L’assistente sessuale è presente in diversi stati europei e va inteso come una forma di accompagnamento erotico che mira a far scoprire ai disabili la loro sessualità, intesa nel senso più ampio possibile, in un percorso verso la conquista di una maggiore autostima». Una guida nel mondo dell’eros, insomma, pensata per chi è stata negata l’esperienza di una sessualità “normale” per via della propria condizione. Ma quanto è alto il rischio di illudere le persone disabili? «L’assistente sessuale non tappa tutte le difficoltà che incontra un disabile dal punto di vista sessuale – chiarisce Ulivieri – anzi deve essere visto come un modo per iniziare un percorso di scoperta della propria sessualità. Di certo, è un aiuto, nel senso che consente comunque ad una persona di vivere quest’esperienza che altrimenti gli sarebbe preclusa. Perché non bisogna negare che nel rapporto con un’altra persona la disabilità sia un problema. E non bisogna credere a chi dice il contrario». Fabrizio Quattrini, psicoterapeuta e sessuologo, si sta occupando della selezione dei candidati per i corsi. I quaranta futuri assistenti sessuali, dovranno affrontare una formazione di 200 ore, comprese lezioni teoriche sulla fisiologia del corpo per avere chiari tutti i limiti, le risorse e gli aspetti pratici legati al contatto. Requisiti minimi il diploma di scuola superiore e preferibilmente aver raggiunto i 25 anni d’età. «Ma la cosa più importante – puntualizza Quattrini – è evitare persone che si candidano soltanto perché vogliono trovare un lavoro o perché dedite al “devotismo”, ossia a quella particolare forma di attrazione sessuale che alcuni hanno per le persone disabili. Ci deve essere una reale motivazione di fondo, una vocazione». La questione più nebulosa e gli interrogativi più grandi riguardano il reale svolgimento delle sedute. Cosa accade veramente? Non c’è una risposta. Semplicemente perché non ci sono regole ferree o tabelle di marcia da seguire. «Il problema più grande è cercare di formare persone ad un’educazione all’affettività e alla sessualità. Devono entrare in contatto con la persona in maniera affettiva, empatica. Sarà l’assistente sessuale a porre dei limiti. Se si percepisce un coinvolgimento bisogna interrompere, a meno che, ovviamente, non ci sia un sentimento reciproco. Non ci sono obblighi, l’assistente sessuale deve sentirsi libero di arrivare dove vuole. La sessualità deve essere vissuta a 360° e si può anche arrivare ad un rapporto completo. Questo non significa che si ha a che fare con dei “sex worker”». Altro aspetto che a tanti fa storcere il naso, è la partenza dei corsi senza ancora un riconoscimento giuridico di questa professionalità. «L’Italia è piena di queste figure che esistono, ma che non sono riconosciute – spiega Quattrini – io, ad esempio, sono sessuologo, ma ufficialmente sono uno psicoterapeuta. L’unica vera preoccupazione che abbiamo rispetto ai nostri corsi è che non vogliamo rischiare di essere accusati di induzione alla prostituzione».
Proprio per superare questo problema, Sergio Lo Giudice, senatore bolognese del Pd, ha presentato lo scorso 24 aprile un disegno di legge in Parlamento per il riconoscimento legale di questa figura. Ma da allora, come spesso accade, è ancora tutto fermo nei meandri parlamentari. «Purtroppo il ddl non è stato ancora calendarizzato – allarga le braccia Lo Giudice – c’è stato poco tempo per poter intervenire, c’è una lista d’attesa e ci sono stati tanti decreti del Governo che hanno avuto la precedenza. Fino ad ora non ci sono state grosse opposizioni, forse si è capito che bisogna affrontare in maniera laica questi temi». In realtà, come spesso accade per questioni che toccano la sfera della sessualità, le coscienze si dividono. Figurarsi se c’è di mezzo anche la disabilità. Sui social network e sui portali specialistici che trattano il tema sono tante le voci che si sono alzate, ponendo dei seri dubbi sull’opportunità di riconoscere giuridicamente questa professione anche in Italia. Una di queste è quella di Simona Lancioni, membra del gruppo donne dell’Uildm (unione italiana alla lotta alla distrofia muscolare). Simona vive a Livorno con il marito, affetto da atrofia muscolare spinale, una malattia che gli impedisce l’uso degli arti. «Questa proposta è ghettizzante per chi è disabile – attacca Lancioni – non si può riconoscere questa figura in un contesto come quello italiano, dove ancora la prostituzione non è regolamentata. In questo modo si manda un messaggio sbagliato, che presenta la sessualità di un disabile come diversa da quella degli altri. E io non penso che sia così». Ma le riserve riguardano anche altri aspetti del ddl proposto da Lo Giudice. «Penso che porti avanti una visione della sessualità meramente maschile, perché culturalmente l’acquisto di una prestazione sessuale è un’esigenza soprattutto degli uomini. Ci vorrebbe una proposta che tenesse presente anche il punto di vista femminile, perché è evidente che questo non è un modello che parte dalle donne».
Il dibattito è aperto, ma in questa agorà c’è una voce assente: quella delle associazioni dei disabili. La Fish (Federazione Italiana per il superamento dell’handicap), raccoglie tutte le associazioni più importanti impegnate sul fronte della disabilità. «Non abbiamo una posizione ufficiale in merito – riferiscono – sia perché ancora non c’è stato un dibattito compiuto su questa tema, sia perché la maggior parte delle associazioni affiliate alla nostra federazione ha altre priorità». A poco serve contattare le singole associazioni, come l’Anfass e l’Unitalsi, due tra le più importanti a livello italiano. Anche in questo caso, nessuna presa di posizione ufficiale. Un silenzio forse comprensibile, ma comunque eloquente. Fino a quando il dibattito non prenderà quota a livello istituzionale, probabilmente prevarrà l’impasse. Ma l’impressione è che durerà ancora per poco.

[© www.lastefani.it]

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Redazione di Periscopio



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