Non so se il Documento tecnico sull’ipotesi di rimodulazione delle misure contenitive nel settore scolastico, con quelle ‘misure contenitive’ che lasciano un retrogusto più di casa circondariale che di scuola, scaricabile dal portale del ministero, sia il frutto del lavoro della task force presieduta dal professor Bianchi, o del comitato tecnico scientifico o di entrambi. Il documento sono ventidue pagine, di cui nove tabelle di dati Istat più due pagine di allegato relativo alla Attività di sanificazione in ambiente scolastico.
Il passaggio più vibrante contenuto in questi fogli, dal sentore ministeriale, è l’invito a cogliere questa occasione per il rilancio del sistema scolastico attraverso “un lavoro complessivo di investimenti per azioni coordinate che mettano al centro dell’agenda politica scuola e salute come elementi strategici per il benessere complessivo della persona”. Petizione di principio che in Italia si ripete da decenni come una litania, diciamo che non occorrevano proprio né una task force né un comitato scientifico per una simile conclusione, ma come dicevano i latini repetita iuvant.
Per il resto tutto è già noto: bisogna tenere il distanziamento fisico, la mascherina, lavarsi le mani, far uso di dispenser ed igienizzanti, ridurre il numero di alunni per classe, trovare spazi sul territorio. Poi c’è l’invito alla riduzione del monte ore delle discipline scolastiche, alla rimodulazione e riduzione oraria che non sono modi diversi per dire la stessa cosa. Un conto è ridurre il monte ore disciplinare su base annua, altro conto è modificare l’organizzazione oraria della scuola. Così, per non pagare dazio, la ministra estrae dal cilindro il vecchio arnese delle ore di quaranta minuti, una volta erano di cinquanta o cinquantacinque, per lo più utilizzate per consentire di conciliare le entrate e le uscite con gli orari del trasporto pubblico, o, nell’ambito dell’autonomia scolastica, per recuperare spazi orari alla organizzazione di attività integrative.
La prima osservazione che viene da fare a una mente appena appena non appannata è che se si tratta di quaranta minuti non può essere un’ora, neppure se lo dice la ministra, che dimostra di essere poco pratica non solo di imbuti ma anche di orologi. Sarebbe opportuno da parte di chi ha la responsabilità del sistema scolastico del paese dire semplicemente che le unità didattiche per ogni disciplina anziché svolgersi in sessanta minuti dovranno essere contenute nello spazio di quaranta minuti. Le ore, dunque, restano per tutti di sessanta minuti, sono le attività della scuola che da settembre prossimo si articoleranno per sequenze disciplinari della durata di quaranta minuti.
Intanto c’è un problema, il tempo è una risorsa importante. Apprendere in quaranta minuti non è la stessa cosa che apprendere in sessanta: i tempi anziché dilatarsi, come sarebbe necessario in ogni sana didattica, vengono compressi. Già qui appare che non si tratta di una buona idea e che, se si vuole migliorare la nostra scuola che ha bisogno di più offerta formativa, di più attenzione ai bisogni e ai tempi di apprendimento di ogni singolo alunno, questa decisamente non può essere la strada. Scuola concentrata: concentrato di saperi. Dopo mesi di insegnamento a distanza il ritorno a scuola che si prospetta non è dei migliori. È come dire che quando avresti più bisogno di cura te ne fornisco di meno. Se queste sono le idee brillanti che comitati e task force vari avrebbero dovuto suggerire alla ministra, se ne faceva volentieri a meno.
Occorrerà mettere mano ai vari decreti legge che stabiliscono il monte ore annuo per ordine di scuola. Limitiamoci all’esempio, per tutti, della secondaria di primo grado, la cosiddetta scuola media, il cui monte ore annuo obbligatorio è di novecentonovanta, vale a dire trenta ore di sessanta minuti a settimana per trentatré settimane di scuola. Tralasciamo per comodità i moduli con il sabato a casa, e consideriamo la giornata scolastica tipo di cinque ore di sessanta minuti per sei giorni alla settimana. Se le unità didattiche sono di quaranta minuti il tempo scuola giornaliero sarà di duecento minuti, anziché trecento, e il monte settimanale di milleduecento minuti anziché milleottocento, con una differenza settimanale di seicento minuti, vale a dire di sei ore alla settimana. Se poi le sei ore le moltiplichiamo per il numero di settimane di scuola otteniamo una cifra corrispondente a trentanove giorni di scuola, oltre un mese che in totale silenzio viene sottratto alle opportunità formative degli studenti, bambini o ragazzi che siano. Inoltre, nel caso del tempo pieno e del tempo prolungato le cifre raddoppiano. Meno scuola, quando di scuola ne serverebbe di più ed è facile nutrire il dubbio che la concentrazione dell’insegnamento non ne accresca la qualità.
Resta da capire come a viale Trastevere pensano di rispettare il calendario scolastico che per legge prevede almeno duecentocinque giorni di scuola, se intendono, ad esempio, prolungare di un mese l’anno scolastico. L’invito del comitato scientifico di cogliere questa occasione per il rilancio del sistema scolastico lascia il re nudo. Ministra e governo non hanno un progetto di scuola ed è senz’altro così visto il rosicato miliardo e mezzo stanziato e neppure il comitato tecnico scientifico e la task force. Resta la scuola di prima, corretta per detrazione con le sue misure ‘contenitive’, che si aggiungono a quelle di sempre (e come potrebbe essere diversamente?).
A meno che, dopo l’esperienza della didattica a distanza, qualche mente brillante, ora che sono tornate d’uso, sia giunta alla conclusione che, sottraendo tempo alla formazione dei nostri ragazzi, la scuola e il paese migliorino.
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Giovanni Fioravanti
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