Se essere donna è sempre stato un problema
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Cavallo di battaglia teatrale dell’inarrestabile, unica e inimitabile Glenn Close, tratto da un racconto dell’irlandese George Moore (“Morrison’s Hotel, Dublino”), “Albert Nobbs” è un capolavoro di mimetismo e bravura. Un dramma dell’identità e di una vita incastrata, persa, confusa e bloccata dalla e nella finzione.

Albert (una splendida Glenn Close), infatti, figlia illegittima, vittima di violenza subita in giovane età, cresciuta nella Dublino miserabile di fine ‘800, lavora alacremente in un grande albergo. Inappuntabile, preciso, fidato, efficiente maggiordomo, dopo una lunga e intensa giornata di lavoro e di autocontrollo, quest’uomo silenzioso e solitario rientra nella sua stanza, e, prima di riposare, conta le mance, fa calcoli, nasconde il danaro sotto il parquet, per poi togliersi le fasce che comprimono e nascondono il seno sotto l’uniforme. Un particolare, infatti: Albert è donna.

Con il guadagno che si accumula, il laborioso maggiordomo sogna di aprire una tabaccheria tutta sua, di avere una vita normale, fatta di lavoro e di routine quotidiani. Un desiderio semplice e naturale, che non si dovrebbe negare a nessuno. Ora come allora. In queste scene, spesso toccanti, ci sono tanti sentimenti e sensazioni mescolati vorticosamente: lo scontro con le convenzioni e la difficoltà femminili a lavorare (per tempi e costumi), le ipocrisie dei ricchi clienti, le giornate fatte di gesti formali e composti, le emozioni trattenute ma anche la consapevolezza di non essere sola. Un giorno, infatti, il signor Nobbs è costretto a ospitare nella sua stanza il signor Page, incaricato di ridipingere alcune pareti dell’albergo, che viene a conoscenza del suo segreto. I due si avvicinano, fino a scoprire che anche Hubert Page, in realtà, è una donna, addirittura sposato/a con un’altra donna. La solitudine si può superare, sembra. Per Albert è l’inizio di una nuova speranza, una nuova prospettiva di vita, che si manifesta nel corteggiamento della bella collega Helen (Mia Wasikowska), che, però, è già l’amante di Joe, il tuttofare dell’albergo.


Emerge una società irlandese dura, desolante, inquietante, penalizzante, disumana, dove le persone sono obbligate a nascondere la loro vera natura, il loro essere, le loro relazioni, i loro sentimenti, per potersi costruire un’immagine accettabile e ‘decente’. In essa, sopravvive un gruppo di esseri umani circondati da ipocrisia e solitudine, dove si cerca di essere, e diventare, quello che gli altri si aspettano che si sia, al prezzo di enormi sacrifici e di segreti inconfessabili. Sarà, poi, pure una banalità, ma fin dalla notte dei tempi, esser donna non è mai stato facile. Dietro la cerea maschera di Albert Nobbs, infatti, si cela una donna in difficoltà e ferita, con un’identità che resterà celata per oltre trent’anni, nella nebbiosa e fredda Dublino, una donna che lotta ma che fatica a gridare e ad avere un suo spazio nel mondo, una donna costretta a nascondersi.
Film commovente e profondo.
Albert Nobbs, di Rodrigo Garcia, con Glenn Close, Mia Wasikowska, Aaron Johnson, Janet McTeer, Pauline Collins, Gran Bretagna, 2011, 113 mn.

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Simonetta Sandri
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
PAESE REALE
di Piermaria Romani