SCUOLA: GUARDA CHI SI RIVEDE
Dal nozionismo della tradizione al nozionificio high tech
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E alla fine, toh, chi si rivede: l’autonomia scolastica. È più che ventenne il dpr 275 del 1999 che attribuisce a tutte le scuole del paese autonomia didattica, organizzativa, di sperimentazione e ricerca. Tutto quello che serve in questo momento per far ripartire le lezioni a settembre. Tutto è già scritto lì: flessibilità, unità orarie, modulazione delle discipline, aggregazione per aree, smembramento delle classi, articolazione dei curricoli plurisettimanale, annuale, pluriennale, modalità di impiego dei docenti, reti di scuole, risorse del territorio.
L’autonomia scolastica: si trattava di prendere in mano quel decreto, leggerlo attentamente e di fornire a tutte le scuole i mezzi necessari per realizzarla. Anche in epoca di Covid-19, non si doveva fare nient’altro che quanto già sancito da una legge dello Stato: risorse economiche e personale innanzitutto, a partire dall’organico funzionale.
E invece si pagano task force e comitati tecnico scientifici per dire alle scuole di arrangiarsi. Vai avanti tu che mi viene da piangere, in questo caso. Andate avanti così, come sempre, con le innovazioni che restano scritte sulla carta perché non ci sono soldi e perché burocrazia e paura di assumersi responsabilità hanno paralizzato anche la scuola.
Perché passare dalla piramide al piano orizzontale richiedeva di cambiare il paradigma di un sistema scolastico per troppo tempo verticistico. I provveditori agli studi non esistono più da allora, ma non è venuta meno l’abitudine o l’ossequiosità di chiamare così i dirigenti degli uffici scolastici territoriali. E poi c’è l’autonomia a cui non sono mancati i detrattori, specie quelli preoccupati che la scuola potesse trasformarsi in una azienda. Così in mano non ci resta che un’anatra zoppa.
Ora, che si riproponga niente più che la situazione di fatto per affrontare questo frangente o è donabbondismo o si tratta di pericolosi dilettanti allo sbaraglio. È che la Ministra Azzolina, neodirigente scolastico, non ha avuto il tempo di fare il suo anno di prova perché impegnata a viale Trastevere, ma qualcuno di quelli che frequentano i corridoi del ministero poteva anche dirglielo prima che in questo paese esiste l’autonomia scolastica da più di vent’anni.
L’autonomia scolastica, però, non è stata proprio pensata per affrontare i problemi di sicurezza legati alle epidemie, ma per consentire di qualificare e arricchire l’offerta formativa delle nostre scuole, garantendo flessibilità sia organizzativa che didattica, quello di cui c’è più necessità proprio ora.
Ma è indispensabile che i professionisti della scuola, riuniti in collegio dei docenti, progettino, deliberino un nuovo piano formativo in grado di far ripartire la scuola a settembre, garantendo sicurezza senza mortificare l’istruzione. Con i mesi estivi in mezzo è pressoché impossibile che ciò possa accadere, se poi consideriamo l’esperienza, mai smentita, dell’avvio di ogni anno scolastico con le cattedre vuote in attesa dell’assunzione di migliaia di precari, il quadro assume tinte tali da ritenere che difficilmente anche a settembre le nostre scuole potranno riaprire.
In questi mesi l’insegnamento a distanza ha coperto lo stato di collasso del sistema scolastico, che poteva essere evitato se da subito ci si fosse preoccupati di pensare a come ripartire con la didattica in presenza, a come affrontare la condizione della scuola italiana, che è molto simile a quelli della Sanità: bravi professionisti ma privi di mezzi, con strutture e risorse economiche inadeguate.
Occorreva correre subito ai ripari nel senso di riparare i guasti di anni di politiche dissennate, di tagli e di ideologie, dalla Moratti alla Gelmini. Con una crisi più pesante di quella del 2008, forse la peggiore in assoluto dalla depressione degli anni Trenta, difficilmente sarà possibile recuperare errori, tempo e risorse perdute.
Arriveranno i soldi dall’Europa? Per spenderli bene, però, bisogna avere un progetto di sistema formativo che non guardi solo alla situazione contingente, un progetto dalla vista lunga e dal respiro ampio, con obiettivi da raggiungere. Ma tutto questo è politica, proprio quello che in questo momento manca al paese.
Se si legge la scheda di Colao sull’istruzione c’è da chiedersi quale morbo oltre al virus ci abbia colpiti. Un vuoto assoluto in fatto di sistema formativo da ripensare e ridisegnare, l’avvenire delle nostre scuole affidato al cash and kind, al crowdfunding per dotare le classi di supporti informatici per la didattica a distanza. Un programma nazionale di aziende high tech che per 20 sabati all’anno aggiornino insegnanti di liceo e medie su temi innovativi. Gara di talenti sui temi di grande rilievo tecnologico, sociale e culturale. E poi Rai Scuola, Rai Educational.
In questo panorama è facile prevedere che o a settembre tutto ritorna come prima perché il virus scompare, o la strada è già consapevolmente tracciata dal governo come dalla ministra, del resto i grillini hanno una predilezione per il digitale, dalla piattaforma che non a caso porta il nome di un grande pedagogista: Rousseau.
È la strada della didattica a distanza o comunque un sistema misto che garantisce enormi riduzioni di spesa pubblica senza la necessità di tagli che sono tanto impopolari.
Come negare che con la didattica a distanza si risparmia sull’edilizia scolastica, sugli arredi, sul riscaldamento, sui trasporti, sulle mense, sul personale. Le aule virtuali possono essere più numerose di quelle reali. E l’arricchimento dell’offerta formativa non costa, oltre alla Rai, c’è Youtube e multinazionali come la Pearson. Intanto si moltiplicano i corsi di formazione per la didattica a distanza.
Chi si era fatto viaggi di ingegneria scolastica resterà deluso: perché la grande riforma della scuola è già in atto, con il ritorno al passato sicuro, al passato già collaudato, dal nozionismo della tradizione, che speravamo d’aver sconfitto, al nozionificio dei tempi moderni: il nozionificio high tech.
