Negli anni Sessanta i giovani obiettori al servizio militare finivano in carcere. Poi, circa un decennio dopo, sono venuti i medici obiettori di coscienza di fronte all’interruzione anticipata della gravidanza e nessuno li ha cacciati dagli ospedali, né messi in galera.
Ora l’obiezione dei no-vax non è di coscienza, perché apparentemente non ci sono in gioco valori morali e civili, ma obiezioni nei confronti della pervasività della scienza.
Prima Francesco, il papa, poi il presidente della repubblica hanno sostenuto che vaccinarsi è un atto d’amore. Al valore civile della tutela della salute pubblica sancita dalla Costituzione ora si aggiunge la portata etica dell’amore, amore per il prossimo oltre che per se stessi.
Ci sono luoghi particolarmente sensibili, ad alta intensità etica e civica, questi, primo tra tutti, la Scuola. La scuola è il luogo di passaggio di milioni di giovani e di adulti, in questo passaggio che ha la durata delle ore, dei giorni, delle settimane, dei mesi e degli anni avviene qualcosa di eccezionale, che solo lì resta isolato, tra l’adulto e un gruppo di giovani, bambini e bambine, ragazzi e ragazze, una sorta di bene immateriale, che non si vede, ma che respira con il respiro di quell’insieme che è la classe, il gruppo, l’aula, il laboratorio, la palestra.
Quella cosa bellissima che ogni società ad ogni lato della Terra chiama crescita, crescita delle nuove generazioni, allevamento, innalzare da terra per portare sempre più in alto.
I Care. È la cura, il prendersi cura, il camminare al tuo fianco, prenderti la mano e accompagnarti, aiutarti a superare gli ostacoli, lasciarti correre quando ti senti sicuro, sedermi al tuo fianco quando pensi di non farcela.
Non possiamo scrivere I Care sulle pareti delle nostre scuole e pensare che insegnare sia un fatto nostro, che esclude testo e contesto, l’umanità che lo nutre, la responsabilità che lo sorveglia, l’attenzione e l’interesse della società intorno.
Insegnare non ammette il conflitto, né con le generazioni degli studenti, né con le famiglie.
Quando si insegna, si entra in una classe, ci si accosta ad una cattedra non si parte per una missione, ma più semplicemente si è chiamati ad esercitare la propria professione, a professare la cultura che è sempre aperta, accogliente, rivolta a scovare il sapere, che è passione per l’altro che deve apprendere.
Ora non c’è più nulla di più incongruente, di più inconciliabile, di più inspiegabile di un insegnante no-vax. Non vaccinarsi per un insegnante significa pensare che la propria professione è distanza e giudizio, comunicazione oracolare e sentenza finale, una staticità angustiante di teste inscatolate da inscatolare nel packing della propria materia. La scuola degli imballaggi dove collocare ogni alunna e ogni alunno per poi sfornarlo confezionato secundum curricula al termine del corso studiorum.
L’I Care di don Milani [Qui] è la scuola dell’umanità, la scuola di Freinet [Qui], di Bruno Ciari [Qui], di Mario Lodi [Qui] e di tutti coloro che li hanno assunti come testimoni e che a loro si sono sempre ispirati nel proprio lavoro.
Nella nostra scuola non c’è posto per i no-vax, per i sindacati che stagnano nell’ambiguità corporativa. La scuola è delle ragazze e dei ragazzi e per tornare ad essere loro è necessario che tutti gli insegnanti e chi lavora nella scuola, dai collaboratori scolastici ai dirigenti, siano tutti vaccinati. Diversamente nessuno di questi merita di mettere piede in una scuola, in una classe, perché non sarà mai dalla parte dei giovani che devono crescere, studiare, imparare ad apprendere.
La scuola è passione e se non è appassionata non è scuola, manca pure lo spazio per esitare un solo attimo tra il vaccinarsi e il non vaccinarsi. Chi pensa di avere questo spazio ha sbagliato mestiere, quello dell’insegnante non è il suo lavoro e, se l’ha scelto per ripiego, è bene che mediti sulla sua superficialità e sulla responsabilità che porta. Il paese ha bisogno di passione per la scuola, di questo hanno bisogno tutti i bambini e le bambine, tutte le ragazze e tutti i ragazzi.
Non si vuole obbligare al vaccino? Benissimo. Nella scuola pubblica, quella solidale, quella dell’inclusione, quella dell’accoglienza, quella dove hanno piena cittadinanza fragilità e disabilità non ci può essere posto per personale che non sia vaccinato, la scuola pubblica non può che essere radicale nell’applicazione del dettato costituzionale dell’articolo 32.
Non c’è posto per tutti nella scuola pubblica, non è un ufficio di collocamento per mezzi servizi e mezzi stipendi. È ora di chiudere con la storia che a scuola entrano tutti dopo anni di graduatorie dove i punteggi si accumulano nei modi più disparati e in graduatoria si sosta per anni, fino a quando, dopo aver optato per un impiego alle Poste, ti ripescano per una supplenza.
Questo è il valore che attribuiamo alle nostre ragazze e ai nostri ragazzi. All’inizio del secolo scorso John Dewey [Qui] ci ricordava che compito della società è quello di assicurare ciò che ciascun genitore desidera per il proprio figlio, vale a dire gli insegnanti migliori e non il primo che capita per via di un algoritmo.
La Scuola deve essere l’istituzione migliore del paese, con i professionisti più preparati, non più saputi, ma più preparati nella fatica di curare ognuno, uno per uno, di condurre per mano, con pazienza e intelligenza ogni ragazza e ogni ragazzo dal nido all’università, senza perderne uno, senza lasciare indietro nessuno, disegnando per ognuno il percorso che può fare. Con l’arte della tartaruga, con il festina lente.
È il principio di responsabilità di cui si carica chi lavora nella scuola, responsabilità innanzitutto di fronte alla crescita di ogni ragazza e di ogni ragazzo, responsabilità nei confronti della società e del suo futuro, responsabilità nei confronti delle famiglie. Chi non se la sente di portare un simile fardello sulle spalle è bene che a mettere piede in una scuola non ci pensi neppure lontanamente.
Ora non è che dopo aver introdotto nelle nostre scuole, allarmati dai comportamenti delle giovani generazioni, l’Educazione Civica come insegnamento trasversale, che interessa tutti i docenti e tutti i gradi scolastici, per formare cittadini responsabili, come proclama il sito ministeriale, l’insegnamento dell’educazione civica poi lo affidiamo agli insegnanti no-vax?
L’articolo 1, comma 1 della legge richiama il patto educativo di corresponsabilità come terreno di esercizio concreto per sviluppare “la capacità di agire da cittadini responsabili e di partecipare pienamente e consapevolmente alla vita civile, culturale, sociale della comunità.”
Di fronte agli appelli del presidente della repubblica, del papa, delle autorità sanitarie gli insegnanti, più di ogni altro, non hanno possibilità di scelta. L’obbligo a vaccinarsi è connaturato al mestiere che hanno deciso di esercitare, perché quel mestiere ha particolarità che a stare seduti in cattedra non si possono scoprire e neppure apprendere, sono quelle stesse peculiarità per cui, o l’insegnamento è in presenza, umanamente intimo e corale allo stesso tempo, o è un’altra cosa.
Per l’altra cosa non serve né l’insegnante né il vaccino.
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Giovanni Fioravanti
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