L’OPINIONE
Scienza e polemiche. Sull’uso strumentale della conoscenza per promuovere interessi di parte
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Ci sono molte questioni spinose che trovano ampia diffusione sui media per la straordinaria capacità che hanno di generare scontro, discordia, contrapposizione feroce; tra gli ultimi in agenda quello delle vaccinazioni, del riscaldamento globale, dell’uso degli ogm, del consumo di carne. Non vi è dibattito mediatico su queste tematiche che prescinda dagli schieramenti di esperti e dal richiamo costante alla scienza per mostrare le buone ragioni dei pro e dei contro. Ora, il fatto che si trovino sempre esperti e scienziati, dell’una o dell’altra parte, mostra a chi vuol vedere, alcune cose particolarmente importanti.
Per alcuni la scienza sembra essere il tribunale di ultima istanza, dove dirimere scientificamente, cioè oggettivamente e sicuramente, questioni complicate eliminando riserve ideologiche, politiche e sociali.
Per altri la scienza sembra essere al contrario un’attività al servizio degli interessi economici, finanziari ed ideologici, di soggetti che gestiscono il potere a livello planetario.
Se i primi alimentano una fiducia spesso fuori dalla realtà e se i secondi coltivano un pessimismo raramente condivisibile, entrambi ne riconoscono la potenza e la centralità ed entrambi sembrano ignorare cosa la scienza sia e cosa ci si possa aspettare da essa.
La scienza è un impresa conoscitiva umana che è bene distinguere dalle sue applicazioni. Essa può essere pensata come un processo sociale autocorrettivo di osservazione, ipotesi, verifica sperimentale, produzione di teorie, che si regge sulla possibilità di falsificazione.
La tecnologia invece può essere pensata come l’applicazione sistematica del pensiero scientifico ai processi operativi e pratici di manipolazione dell’ambiente che da sempre caratterizzano le culture umane.
I prodotti e i sistemi che vengono costruiti applicando il sapere ingegneristico fondato sulla scienza hanno realmente modificato l’ambiente di vita; la pratica della scienza, l’ingegneria e la tecnologia non solo modificano il mondo fisico in cui agiamo, ma cambiano anche i modi mentali e fisici con i quali pensiamo il mondo e interagiamo al suo interno; esse permettono e richiedono un continuo riallineamento del nostro orientamento mentale e fisico se vogliamo continuare a prosperare e a crescere in esso. Queste pratiche ci condizionano come individui, gruppi e società cambiando il nostro orientamento per adattarlo ad un mondo che noi stessi abbiamo aiutato a cambiare.
La presenza di esperti che professano pareri diversi ma ben fondati, mostra un aspetto caratteristico della scienza come impresa collettiva: quello di accettare, anzi di fondarsi proprio, sul confronto, sullo scambio, sulla critica tra gli scienziati. Ma mostra anche l’uso retorico che può essere fatto di ogni sapere scientifico e l’utilizzo interessato di ogni soluzione tecnologica che viene immessa sul mercato. Questo radicamento sociale ed antropologico del sapere scientifico ne fa una risorsa importante, forse essenziale, di qualsiasi strategia perseguita a livello di organizzazione. Mentre il pensiero comune sembrerebbe attribuire al pensiero scientifico (sbagliando) l’attributo della ricerca di verità, ogni uso strategico è finalizzato invece ad un interesse, ad una finalità ben diversa: massimizzare il profitto per le aziende che detengono il sapere in forma di brevetti o di strutture produttive, rafforzare l’influenza geopolitica per gli stati, legittimare la fiducia e la visibilità per ottenere maggiori finanziamenti per i centri di ricerca e così via.
Tutto questo ovviamente non mette in discussione l’importanza della ricerca scientifica e del sapere così costruito: mette piuttosto in crisi l’idea obsoleta ma diffusa a livello di un certo senso comune, che le questioni davvero rilevanti possano essere decise esclusivamente in base ad una riflessione scientifica di tipo lineare, meccanico, deterministico. Mette in discussione la possibilità che una simile scienza possa essere il tribunale di ultima istanza dove decidere la correttezza di scelte pubbliche e collettive rilevanti. Senza nulla togliere alla straordinaria importanza dell’impresa scientifica bisogna riconoscere che anch’essa come ogni attività umana è un campo d’azione caratterizzato dalla complessità, dove ci sono vincoli, opportunità, mode, ideologie, paradigmi dominanti, ortodossi ed eretici, tattiche e retoriche.
Dunque che fare? Credere nella scienza è soprattutto credere nella bontà di alcuni suoi fondamenti: il costante interrogarsi, l’apertura, l’indagine sulle eccezioni non spiegate, la falsificazione, la produzione di teorie in competizione tra di loro; questa, piuttosto che la produzione di verità è la sua natura. Più nel circuito della ricerca entrano nuovi scienziati e ne escono i vecchi portatori di vecchie teorie più è facile che ci possano essere al suo interno cambiamenti di vedute. Paradossalmente dunque, più la scienza progredisce più ci interroga e più ci affascina, più ci obbliga a riflettere e a cambiare i nostri stereotipi e le nostre categorie di riferimento.
Ma è anche vero che siamo profani, cittadini comuni, che hanno altro a cui pensare: in fondo, di qualcuno ci si deve pur fidare per le questioni che, pur importanti, stanno fuori dagli orizzonti del mondo quotidiano. Tornando dunque ai temi iniziali oggetto del contendere dai quali siamo partiti, su quali buone ragioni l’uomo della strada potrebbe costruire i suoi giudizi, ad esempio in materia di riscaldamento globale, se il richiamo alla scienza si rivela esso stesso dubbio e non definitivo? Sicuramente aiuta molto la consapevolezza della complessità, il riconoscimento del fatto che ogni attore (singolo e collettivo) agisce nel sistema in modo strategico, perseguendo degli scopi che solo rare volte sono esplicitati e che sempre più spesso sono presentati in una forma adatta ad influenzare e convincere un uditorio che reputa comunque il sapere scientifico molto importante. Molto aiuterebbe una marcata alfabetizzazione scientifica che, purtroppo in Italia, sembra assai distante dall’essere ritenuta davvero importante. Molto servirebbe una consapevolezza epistemologica capace di illuminare un poco i processi quotidiani di costruzione di conoscenza.
In questo gioco di specchi, ritorna invece con forza il pregiudizio, l’appartenenza di tipo politico, la prescrizione dogmatica, la posizione a priori pro o contro qualcuno che non richiede e non accetta giustificazioni argomentate; lo stesso richiamo ai valori non sembra in grado di aiutare a dirimere definitivamente questioni che richiedono alta capacità di discernimento, conoscenza e responsabilità diffusa che, per essere affrontate seriamente, abbisognano di un approccio scientifico diffuso, sanamente olistico, in grado di inglobare i più diversi punti di vista. Nel mondo post moderno, privo di punti di riferimento assoluti, ogni cosa rimanda all’esigenza di riconcettualizzare l’uomo e il suo posto nel mondo: se si vuole mantenere e sviluppare la libertà non si sfugge alla responsabilità personale neppure pensando di delegare le scelte alle ragioni della scienza.
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Bruno Vigilio Turra
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