“Vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole, e più non dimandare” dice Virgilio prima a Caronte, poi a Minosse nella Divina Commedia, per giustificare il viaggio di due umani (Dante e Virgilio) agli inferi. Lo vuole il Paradiso, dove chi vuole può. Chiamatelo Dio, o chi governa la stanza dei bottoni. La sostanza è che non c’è discussione (“e più non dimandare”).
Vittorio Colao non è Dio, ma in un mondo dominato dall’economia e dalla tecnica, cioè dominato dai soldi e da tutto quello che funziona, il suo curriculum è quello che più avvicina un essere umano alla divinità. Se esistesse una Divina Commedia del pensiero calcolante (ipotesi raccapricciante, ma la realtà non è forse essa stessa fonte di raccapriccio?) Vittorio Colao non potrebbe che esserne uno dei protagonisti principali: si laurea ovviamente alla Bocconi, prende un master naturalmente ad Harvard, inevitabilmente finisce a lavorare alla Morgan Stanley e inesorabilmente perfeziona le sue competenze alla McKinsey (quando tutti i giorni qualcuno vi ricorda che esiste un budget e che voi siete in ritardo con gli obiettivi, sappiate che tutto questo ha origine dalla McKinsey. Traete le vostre conclusioni).
Noto per essere stato CEO di Vodafone, attualmente Colao è nel board di Verizon, gigante delle telecomunicazioni e della banda larga che spinge per diventare il principale fornitore della nuova tecnologia 5G per i cellulari. Uno così fa paura.
Come tutti sapete Colao ha coordinato, su incarico del Presidente del Consiglio Conte, il lavoro della ventina di eccellenze (senza ironia) dell’economia, sociologia, psicologia, lavoro italiane che hanno prodotto il cosiddetto “piano Colao”, una sorta di New Deal 5.0 “per un’Italia più forte, resiliente ed equa” (sic). Il piano è complesso e sorprendentemente dettagliato, nel senso che entra nel merito di alcune tecnicalità, suggerendo operazioni specifiche di intervento legislativo, modifica e semplificazione, anche su norme già esistenti. E’ impossibile parlarne in dettaglio in un pezzo di alcuni minuti. Possiamo citare in rapida carrellata gli interventi suggeriti che sarebbero più immediatamente adottabili a “costo zero”: uno scudo penale per le imprese che applicano i protocolli anti Covid19; una proroga dei contratti a termine senza condizioni; accesso ai finanziamenti liquidità anche per le imprese che sono in difficoltà nei pagamenti alle banche, senza essere già a sofferenza (anche perchè parliamo di 75 miliardi di esposizione bancaria); aumentare la deducibilità fiscale degli aumenti di capitale, per renderli preferibili al ricorso al debito (la sottocapitalizzazione delle imprese italiane è atavica); credito d’imposta per gli esercenti che utilizzano i pagamenti elettronici; nei rapporti con la Pubblica Amministrazione rendere massivo il silenzio-assenso in caso di mancata risposta entro 30 giorni, anche su documenti formati interamente in modo telematico. Poi vengono illustrate proposte da “finalizzare”, come: la normazione dello Smart Working in modo da vincolare retribuzione ad efficienza e non a tempo di lavoro; creare una piattaforma informatica di compensazione tra debiti e crediti Stato-imprese; dare contributi a fondo perduto alle reti di imprese turistiche. Poi ci sono interventi di struttura, come il piano di transizione energetica di uscita dal carbone, come l’economia circolare, come le misure contro il dissesto idrogeologico e la manutenzione ordinaria della rete idrica, che necessitano per forza di una pianificazione maggiore. Ma ora basta con gli elenchi, il piano per chi lo vuole leggere è consultabile on line.
Ciò che trovo molto interessante nel piano è la focalizzazione del problema della burocrazia. Un combinato di eccesso di leggi, sulle stesse materie, scritte male, con eccessiva delega a regolamenti di attuazione; e di burocrazia difensiva, un atteggiamento dei dirigenti pubblici anche intermedi descritto come di seguito: “in situazioni di incertezza, evita rischi, non conclude il procedimento o lo aggrava inutilmente; es. pretende un doppio canale digitale e cartaceo per i documenti, o chiede molteplici pareri prima di assumere una decisione.” (vi ricorda qualcosa? A me ricorda quasi tutto quello che accade quotidianamente). Le soluzioni proposte sono due: scrivere le leggi senza essere ad un tempo generici (in modo da costringere ad attendere il decreto attuativo) e imperativi (il che ingessa e paralizza la decisione del dirigente). Il piano suggerisce meno civil law (in cui contano soprattutto le produzioni normative) e più common law (in cui le decisioni dei giudici formano concretamente il corpus normativo). Meno diritto romano, più diritto anglosassone. Mi permetto di citare testualmente una definizione calligrafica del medio management pubblico:”la struttura burocratica ha un potere molto superiore (rispetto al settore privato, NdA), la conoscenza delle pratiche interne è spesso fondamentale per incidere sui processi rispetto alle competenze esterne”.
Naturalmente ci sono anche proposte che presentano incognite: per esempio, l’ allargamento agli investitori e risparmiatori non professionali (privati, famiglie) della possibilità di sottoscrivere strumenti di investimento finanziario in società non quotate potrebbe aumentare i rischi a carico dei risparmiatori deboli. Per esempio, l’attenzione posta al lavoratore dipendente in Smart Working sui “risultati” e non sul tempo del lavoro presenta rischi da governare. Tuttavia nel complesso si tratta di un’architettura apprezzabile, che guarda al presente e al futuro. Non guarda a oggi e a domani, intesi letteralmente, che è il problema crescente di parte della popolazione, quella che ha già finito i soldi. Del resto non è un compito che si poteva pretendere da questa supercommissione, che ha esposto, attraverso Colao, il frutto del proprio lavoro due giorni fa agli Stati Generali.
Ci ha pensato Bonomi, presidente di Confindustria, due giorni dopo a rompere l’atmosfera di cortesia protocollare di Villa Pamphili tirando un paio di stilettate al Governo, la più velenosa – e vagamente pubblicitaria – delle quali è stata “restituite alle imprese 3,5 miliardi di accise sull’energia non dovute”. Che siano non dovute, pare lo abbia stabilito la Corte di Cassazione. Che debba essere Conte da Villa Pamphili con un bonifico generico alle “imprese” a restituire il maltolto è ridicolo, visto che ogni impresa ricorrente avrà la sua pretesa da far valere per le somme di propria competenza.
Di Bonomi non disturba certa ruvida franchezza, anche perché non ha torto su tutto. Franchezza per franchezza, sarebbe opportuno qualcuno gli ricordasse di chi furono le pressioni esercitate sulla Regione Lombardia affinchè le imprese non chiudessero, già in piena epidemia da Covid (a proposito di scudo penale per i suoi associati).
Franchezza per franchezza, sarebbe opportuno qualcuno gli ricordasse che molti dei suoi più prestigiosi associati pagano le tasse dove conviene a loro, non dove conviene alla sanità, alla previdenza, all’assistenza del loro Paese d’origine, l’Italia; che per colpa di queste scelte, l’Italia ci rimette miliardi di entrate fiscali. La ruvida franchezza sarebbe più apprezzabile qualora fosse accompagnata da un sano spirito autocritico.
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Nicola Cavallini
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