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Gaio Clinio Mecenate fu consigliere dell’imperatore Augusto. Sotto la sua gestione da ministro della cultura ante litteram, nella corte imperiale fiorì un consesso di intellettuali e poeti di tale livello (citiamo Orazio e Virgilio tra i tanti) da rendere, nel tempo, il suo nome sinonimo di chiunque si faccia protettore e patrono degli artisti, elemento di collegamento tra l’arte ed il potere, ma con una screziatura di protezione, appunto, dalle grinfie del potere stesso. Ti pago (anche) per cantare le lodi del potente, ma al contempo ti garantisco la libertà e l’indipendenza (anche economica) per esercitare il tuo talento e diffonderlo, per farne godere ai contemporanei ed ai posteri.

La recente nomina di Moni Ovadia a direttore del Teatro Comunale Abbado di Ferrara sembrava, fino a ieri, un paradigma di questo schema. Vittorio Sgarbi (il mecenate), presidente di Ferrara Arte e ministro de facto della cultura della giunta Fabbri, palesando il “traffico di influenze” (inteso in senso non illecito, ma come utilizzo delle relazioni privilegiate tra persone) alla base della sua scelta, disorientava e spiazzava, a destra e a sinistra, chiamando a gestire il Teatro un autorevole artista ebreo, antifascista, impegnato politicamente a sinistra e aspramente critico verso il pensiero intollerante e discriminatorio di quella Lega che governa la città attraverso i suoi rappresentanti locali. Una scelta di libertà, rivendicata come improntata alla prevalenza dell’uomo di cultura sul settarismo di ogni parte e propagandata in conferenza stampa come sostanzialmente disinteressata, perchè in questo caso l’artista non aveva bisogno di denaro (maliziosamente insinuato, da alcuni, come elemento concausale della convinta adesione alla proposta da parte di Ovadia); la sua storia – fatta di grandi successi teatrali e anche di gran rifiuti, come quello di un lauto seggio al Parlamento Europeo – parlava per lui.

Qualche giorno fa Mario Resca, manager ferrarese con una carriera prestigiosa in cui spiccano il ruolo di AD di McDonald’s Italia, amministratore in Eni, Mondadori, L’Oreal, presidente di Kenwood Electronics, attualmente (lui sì a titolo gratuito) presidente della Fondazione Teatro Comunale Abbado, ha rimesso il suo mandato, come quello di tutto il CdA, nelle mani del sindaco Fabbri, in sostanza il suo padrone – essendo il Comune socio fondatore ed unico della Fondazione. La ragione, come si legge dal comunicato diramato dallo stesso Resca, risiede nel fatto che l’incarico formalizzato a Moni Ovadia, comprendente “i limiti della durata e del compenso ad esso attribuibile”, veniva unilateralmente modificato, avendo Resca appreso “da alcuni rappresentanti del socio unico, dallo stesso Moni Ovadia e dal Presidente di Ferrara Arte che i termini della proposta contrattuale andavano totalmente ridiscussi, con un sensibile aumento del compenso e con un prolungamento del contratto a favore del Direttore, in contrasto con la delega ricevuta sulla base di quanto deliberato dal C.d.A. in forza delle sue competenze”. Di conseguenza il Consiglio della Fondazione “all’unanimità, ritiene corretto e istituzionalmente opportuno rimettere il proprio mandato nelle mani del Sindaco stesso…“. Della serie: mi hai sconfessato, Sindaco. Ti restituisco le deleghe, fanne quello che credi.

Il Sindaco Fabbri, senza batter ciglio, dopo aver ricordato le iniziative svolte sotto la gestione Resca, dal “concerto, storico, di Riccardo Muti, a quello di Maurizio Pollini, alle produzioni streaming, e tv, di Alessandro Baricco e Simone Cristicchi”(il tutto garantendo tra l’altro una gestione economica e finanziaria in equilibrio, pur in un anno tragico), ha serenamente accettato le dimissioni di Resca e del CdA. Esaminiamo per un attimo la logica del comunicato di Alan Fabbri: non vi è una sola parola di critica o di presa di distanza, neppure velata, dell’attività della Fondazione Teatro; anzi se ne riconfermano le iniziative d’eccellenza, compresa quella prossima, nel “giorno della memoria” (27 gennaio), con Moni Ovadia e Corrado Augias. Verrebbe da dire: se hai un personaggio con qualità del genere (da te riconfermate) a gestire una delle vetrine della cultura ferrarese, fai qualcosa per non fartelo scappare. Manco per idea: arrivederci e grazie.

Poi leggiamo che il presidente di Ferrara Arte, Sgarbi, afferma invece che Resca ha un approccio “rigido e antico”. Che lo ha scelto lui, certo, ma che ha già pronto il nome di chi lo può sostituire, immaginiamo un uomo dall’approccio elastico e moderno. Esaminiamo per un attimo la logica della parole di Sgarbi: si tratta di affermazioni coerenti con la scelta di accettare le dimissioni di Resca. Mentre le elogiative parole di Fabbri suonano incomprensibili e contraddittorie di fronte alla decisione di non voler trattenere Resca, viceversa le parole di Sgarbi suonano come perfettamente compatibili con la scelta di avvicendare Resca. Non si può nemmeno invocare la diplomazia del linguaggio istituzionale, normalmente reticente e ipocritamente sussiegoso nel licenziare un alto dirigente: sia Fabbri che Sgarbi, infatti, ricoprono un incarico istituzionale. Solo che il Sindaco dirama un comunicato il cui tenore contrasta in maniera sconcertante con la decisione di giubilare Resca. Sgarbi invece “parla come mangia”, per una volta in maniera urbana ma inequivocabile.

Ma chi è, quindi, il “padrone” del Teatro? Il Comune, che ne è socio unico, o Sgarbi? Non staremo qui a ricordare le perplessità (diciamo così) suscitate dalla vicenda dei biglietti per visitare il Castello collegate alla mostra della collezione Sgarbi ivi ospitata, caso singolare di socializzazione degli oneri (al Comune le spese per cataloghi, eventuali spostamenti della collezione eccetera) e privatizzazione degli incassi(il biglietto è unico e una lauta percentuale dello stesso va comunque alla Fondazione Sgarbi). Non ci soffermeremo sulla scelta di azzerare la dirigenza di Ferrara Arte, riconosciuta anche all’estero come fucina di una produzione di rassegne originali e uniche nel panorama nazionale e internazionale, sostituita da mostre standardizzate e sostanzialmente comprate come pacchetto da offrire al grande pubblico, ai Diamanti come negli outlet del resto della penisola. Quest’ultima opzione, peraltro, è stata premiata da una grande affluenza di pubblico (Banksy), per cui la si potrà criticare per l’impostazione, ma non si potrà certo dire che sia stata un fiasco commerciale.

Limitiamoci quindi alla vicenda Teatro. La domanda sorge spontanea: c’è un padrone formale(il Comune, il suo Sindaco) che tesse le lodi del presidente del CdA nel momento stesso in cui accetta con glaciale cordialità le sue dimissioni. E poi c’è il Presidente di Ferrara Arte che rivendica la bontà dell’allontanamento di Resca per far posto ad un uomo più malleabile, che non faccia tante storie sul compenso da riconoscere a Ovadia (si parla di centomila euro). Del resto non si vorrà mica che un artista di simile levatura lavori gratis?

Personalmente ritengo e continuo a ritenere che una scelta non possa essere giudicata a priori, ma a posteriori, dopo aver visto se il prestigioso teatrante metterà la sua passione e il suo talento al servizio di Ferrara e del suo Teatro: solo allora si potrà esprimere una opinione, positiva o negativa, sulla qualità del suo operare. Mi permetto di osservare subito, tuttavia, che le premesse di questo incarico non rassicurano sulla libertà totale e sull’indipendenza di cui potrà godere Moni Ovadia. E non tanto nei confronti del suo “imperatore” quanto, curiosamente, nei confronti del suo mecenate, che appare nei fatti come il vero padrone del vapore.

In copertina: elaborazione grafica di Carlo Tassi

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Nicola Cavallini

E’ avvocato, ma ha fatto il bancario per avere uno stipendio. Fa il sindacalista per colpa di Lama, Trentin e Berlinguer. Scrive romanzi sui rapporti umani per vedere se dal letame nascono i fiori.


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it