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Il sindacalista Cisl Marco Bentivogli sostiene che la polemica sui 6,3 miliardi che FCA Italy (Gruppo Fiat Chrysler) ha chiesto in prestito a Banca Intesa sia “roba da radical chic”. Rimarcare che il gruppo chiede soldi in Italia e paga le tasse in Olanda – dove ha sede legale – e Regno Unito – dove ha domicilio fiscale – sottraendo molte entrate fiscali a noi sarà radical, sarà chic, ma non è una polemica da salotto. A meno che la giovane premier della Danimarca, che nega aiuti di Stato alle aziende danesi che hanno sedi in paradisi fiscali, non sia considerata una che governa dal salotto di casa sua (a parte adesso, causa pandemia).  A meno che far mancare un miliardo circa di tasse all’anno all’erario del proprio Paese sia considerato un dettaglio trascurabile. Non è trascurabile, è una schifezza.
Che lo facciano anche i giganti del web e molte altre aziende non sminuisce la schifezza, casomai la amplifica. Del resto, chi è causa del suo mal pianga se stessa: fino a che l’Unione Europea non stabilisce regole fiscali comuni e tollera regimi semi paradisiaci come quello olandese o lussemburghese, ci sarà chi ne approfitta. Con buona pace del Commissario alla Concorrenza, che in questo caso non trova niente da eccepire, probabilmente perché sa che chi viola la concorrenza lo fa entro le regole vigenti.

Premesso questo, non è detto che sia sbagliato far avere questi soldi a FCA. E non per la banale ragione che “è un prestito, non un regalo”, come dice Bentivogli. Ci mancherebbe anche che fosse un regalo! La ragione sta nel fatto che FCA è la prima industria privata italiana, che occupa direttamente 86.000 persone e indirettamente 400.000, che sarebbe folle impuntarsi su una (giusta) questione di principio e mettere a rischio una gestione corrente che a tutti questi lavoratori permette di ricevere lo stipendio tutti i mesi. Quindi va bene il prestito, ma con delle rigide condizioni risolutive, che purtroppo il governo non sta ponendo a FCA. E questo nonostante il prestito comporti una importantissima garanzia, in caso di insolvenza, da parte di SACE (ente statale)
Quali condizioni? Riportare la sede legale o fiscale in Italia non è una condizione che si possa pretendere solo da FCA. Quello è un obiettivo che si deve porre l’Unione Europea: con regole fiscali uguali per tutti, nessuno avrebbe più interesse a spostare la sede all’estero. Le condizioni dovrebbero essere altre, poche ma inflessibili: non erogare dividendi per tutta la durata dell’ammortamento (3 anni); garantire almeno gli attuali livelli occupazionali; investire in Italia per ampliare la base produttiva; non delocalizzare stabilimenti e produzioni all’estero.

Se queste condizioni non vengono poste, può succedere questo: siccome FCA questi soldi in cassa li ha (ma semplicemente preferisce tenerseli e attingere ad un prestito a tasso quasi zero), il maxi dividendo di 5,5 miliardi che ha già dichiarato di distribuire dal 2021 in previsione della fusione con PSA(Peugeot-Citroen) si può considerare finanziato (e garantito) in Italia, ma esentasse nella stessa Italia, visto che le tasse sui dividendi e sul trasferimento delle royalties, FCA li paga (in misura inferiore) all’estero. Del resto, è esattamente a questo scopo che ha trasferito sede legale e fiscale. Inoltre: se FCA non ha l’obbligo di non licenziare o delocalizzare in Italia (metto fra parentesi ulteriori investimenti, che in questo momento potrebbe apparire esagerato), la morale della favola sarà la seguente: si prendono soldi garantiti dallo Stato italiano senza restituire nulla all’economia italiana, ma anzi sottraendo posti di lavoro, reddito e base produttiva.

Sfortunatamente, le condizioni del prestito poste dal Governo italiano sono molto meno stringenti: intanto il blocco alla distribuzione di dividendi vale solo per il 2020. Inoltre il vincolo è “a sostenere costi del personale, investimenti o capitale circolante impiegati in stabilimenti produttivi e attività imprenditoriali che siano localizzati in Italia”, a “gestire i livelli occupazionali attraverso accordi sindacali”. Che è molto diverso da avere l’obbligo di non fare licenziamenti collettivi, di non chiudere stabilimenti. A queste condizioni, FCA Italy potrebbe in ipotesi mandare a casa diecimila dipendenti obsoleti e sostituirli con diecimila giovani “a tutele crescenti” con l’avallo di qualche sindacato; chiudere stabilimenti in Italia e aprirne in Serbia “gestendo” il saldo algebrico negativo con un piano industriale ispirato alla contrazione del fatturato da Covid; e ciò nonostante avrebbe rispettato le condizioni attualmente poste dal Governo.

Fiat lux, viene da dire. Si faccia luce, e chiarezza.
Occorrerebbe essere più chiari con Fiat, o FCA come è più appropriato chiamarla adesso. Del resto FCA è molto chiara nelle sue scelte. In questo è un padrone classico. Basta vedere cosa ha fatto con il quotdiano la Repubblica non appena ha comprato il Gruppo editoriale GEDI dalla famiglia De Benedetti: ha licenziato il direttore Verdelli, scomodo e non gradito, e lo ha fatto nonostante fosse minacciato di morte; lo ha sostituito con il fidato ex La Stampa Maurizio Molinari, che fedelmente ha rifiutato di pubblicare su Repubblica un pezzo del Comitato di Redazione sul prestito a FCA, pezzo considerato “sbilanciato”. Il CdR si è messo in stato di agitazione, e per ora si è raggiunta una pace armata con il direttore, del tutto comprensibile per i giornalisti che campano grazie al lavoro in Repubblica. I nomi che invece hanno un mercato a prescindere da Repubblica, come Gad Lerner, Pino Corrias, Enrico Deaglio, se ne sono già andati, e pare ci stiano pensando Roberto Saviano, Michele Serra, Ezio Mauro.
Siamo sempre lì, la ‘Forza del Mercato’: per chi può permettersi di scegliere è un po’ più facile fare il giornalista libero.

In copertina: elaborazione grafica di Carlo Tassi

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Nicola Cavallini

E’ avvocato, ma ha fatto il bancario per avere uno stipendio. Fa il sindacalista per colpa di Lama, Trentin e Berlinguer. Scrive romanzi sui rapporti umani per vedere se dal letame nascono i fiori.


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it