Gli articoli di Sergio Gessi hanno sempre il merito di suscitare delle riflessioni. Credo valga la pena aprire un dibattito pubblico intorno alle sue riflessioni poste nell’articolo ‘Che paghi il Comune’.
Condivido gran parte delle sue riflessioni e lo spirito di fondo che lo anima su ciò che dovrebbe essere la politica. Su un solo punto non sono del tutto d’accordo: sulle doti del saper fare che dovrebbe avere un buon politico. Per un motivo molto semplice: ne abbiamo già avuto uno eletto a furor di popolo. Si chiama Silvio Berlusconi. Dunque, attenzione a non lasciarci affascinare anche noi, intendo noi di sinistra (qualunque cosa voglia dire sinistra oggi) dall’uomo che sa fare. Non si può certo negare che non sia l’uomo del saper fare, uno che ha costruito un impero e ha saputo amministrarlo, seppure con molte zone d’ombra, certo, ma su questo saper fare ha giocato la sua fascinazione nei confronti delle masse. Riuscendoci. All’uomo che “sa fare” preferisco l’Uomo che sa essere. L’uomo che non ha una doppia morale, una pubblica e una privata e non mi riferisco solo all’essere onesti, questo lo do per scontato. Ma alla coerenza di vita. Nei paesi di cultura anglosassone dove il puritanesimo e l’etica protestante hanno avuto un ruolo fondamentale nel forgiare il senso civico, un politico si dimette per una scappatella, persino per una multa non pagata, perché, secondo quel modello culturale, chi tradisce il/la proprio/a partner non è affidabile e potrebbe tradire il proprio paese o l’istituzione che rappresenta, presto o tardi, o potrebbe intascare una mazzetta se è stato capace di non pagare una multa. Berlusconi è l’uomo del saper fare, ma è anche quello del bunga bunga, delle olgettine, di Veronica Lario che gli scrive una lettera pubblica per prendere le distanze, e divorziare, da un uomo che non ha il senso del saper essere. Avrebbe dovuto dimettersi dopo trenta secondi dopo quell’atto d’accusa così intimo e per questo ancor più rilevante politicamente, se non altro per senso del pudore. Ma Berlusconi, e tanti come lui, è perfettamente in linea con l’etica cattolica di questo paese.
Uso questo esempio eclatante per dire che chi si espone ad un impegno pubblico di rappresentanza politica deve essere trasparente come il cristallo. Non ci può essere una scissione tra pubblico e privato. Invece, questo è un paese di dissociati psichici. Ciò che vale nella sfera pubblica non vale in quella privata e viceversa. C’è bisogno di persone limpide a ricoprire ruoli di rappresentanza popolare e istituzionale, con un’etica di vita coerente. Che sappiano anche non saper fare tutto e subito (nessuno nasce imparato), ma che abbiano una visione, una progettualità, un orizzonte persino utopico a cui guardare e che nei più piccoli recessi della loro vita privata non ci sia nemmeno una macchia. Persino se hanno una multa non pagata o che si sono fatti togliere da un amico assessore o se hanno tratto vantaggio personale da relazioni sociali col potere politico o se questo vantaggio l’abbiano usato a favore di amanti e parenti per occupare posti di prestigio. Di queste persone dovremmo farne a meno. Per la tutela del bene comune. È ora di cambiare paradigma nelle scelte di chi andrà a rappresentarci. Senza andare tanto lontano la primavera di Palermo partì proprio con queste parole d’ordine, su una scelta etica della qualità delle persone che avrebbero dovuto incarnare il cambiamento. Dice: ma così almeno metà degli italiani non potrebbero candidarsi nemmeno tra i rappresentanti dei genitori a scuola dei figli. È proprio così, ma questo dipende dal profondo degrado dell’etica pubblica e privata di questo paese su cui c’è da riflettere.
E allora alla prossima tornata elettorale, qualunque sia, bisognerà leggere bene i nomi delle persone sulle gambe delle quali dovranno camminare i programmi di governo a cui affidare i nostri destini di comunità, prima di dare il nostro consenso. Questo dovrebbe essere il principale criterio di valutazione del personale politico: il saper essere eticamente coerente. Un criterio che deve valere in primo luogo per le formazioni politiche che si affacceranno sulla scena nel selezionare il personale politico.
Purtroppo, in questo paese persino la massima evangelica “chi è senza peccato scagli la prima pietra” è stata piegata alla logica della convenienza nella vulgata corrente come un “liberi tutti”, “vivi e lascia vivere” e non con il senso profondo che voleva dare chi la pronunciò e cioè l’imperativo di vivere una vita irreprensibile.
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Giuseppe Fornaro
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