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“Ogni mattina mi sveglio e, guardandomi allo specchio, provo sempre lo stesso ed immenso piacere: quello di essere Salvador Dalì”.

Che fosse un personaggio eclettico, sicuro di sé e sopra le righe era di pubblico dominio. Ma quanti sanno che già in tenera età, Salvador Dalì si autoproclamò un genio e decise che, in un modo o nell’altro, chiunque nel mondo lo avrebbe riconosciuto come tale?

In attesa dell’inaugurazione della mostra “Dalì experience” che, dal 25 novembre al  7 maggio sarà ospitata nelle sale di Palazzo Belloni a Bologna e vedrà le opere dell’artista catalano combinarsi con esperienze interattive e di realtà aumentata, siamo andati a visitare la mostra del Palazzo Blu di Pisa, “Dalì. Il sogno del classico“.

In collaborazione con MondoMostre e con la Fundaciòn Gaòa-Salvador Dalì, il percorso espositivo, curato da Montse Aguer, direttrice dei Musei Dalì, svela alcuni capolavori meno noti dell’artista, ispirati dalla tradizione italiana e dai Maestri del Rinascimento, tra cui Michelangelo e Raffaello.

Le opere, in cui la musa ispiratrice e moglie Gala è spesso ritratta, mostrano i classici dell’arte rinascimentale, come il Mosè o il Cristo della Pietà di Palestina di Michelangelo, reinterpretati in chiave onirica surrealista.

Centrale nel percorso l’intera serie di xilografie della Divina Commedia, commissionate nel 1950 dal Ministro della Pubblica Istruzione.  Salvador Dalì dipinse, nel giro di due anni, 102 acquerelli che illustravano tutti i canti principali dell’opera dantesca, riproducendo il percorso del Poeta dall’inferno al paradiso.

L’opposizione politica italiana, però, contraria all’idea che fosse uno spagnolo ad occuparsi di una tra le più grandi opere nostrane, impedì la pubblicazione degli splendidi acquerelli che vennero infine esposti a Parigi nel 1960. Il successo di questa mostra fu tale che, nel 1963, venne pubblicata un’edizione speciale della Divina Commedia contenente gli acquerelli.

Secondo Dalì creare delle illustrazioni per i testi non era altro che una forma d’arte, non meno importante della creazione di un quadro o di una statua. Dopo la Divina Commedia, infatti, continuò a realizzarne dedicandosi a “L’Autobiografia di Benvenuto Cellini“.  Furono realizzate 41 illustrazioni dedicate alla vita dell’orafo fiorentino, di cui ne sono esposte 27.

Tutto il percorso espositivo è un vero e proprio confronto tra l’artista catalano e gli artisti del Rinascimento italiano, a cui lui dichiarò di essersi spesso ispirato nella ricerca della “vera tecnica”, così come De Chirico, interpretando la realtà attraverso il metodo paranoico-critico da lui ideato.

La mostra, inaugurata il 1° di ottobre e visitabile fino al 5 di febbraio, conta oltre i 30mila visitatori ed è accompagnata da laboratori didattici ed incontri paralleli. Che piaccia o meno lo stile del discusso artista catalano, non può che essere considerato il padre del surrealismo o, come dichiarò lui stesso, “l’essenza del surrealismo”.

 

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Chiara Ricchiuti



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