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Da: Organizzatori

Sabato 3 Novembre dalle ore 18.30 alla Idearte Gallery, straordinario evento espositivo dedicato ad un esponente internazionale dell’estetica a sfondo sociale.
In mostra Roger Ballen, considerato uno dei più importanti fotografi artistici nel panorama mondiale, affiancato in questa Esposizione all’artista ferrarese Carlo Andreoli (Alo), la cui affinità poetica è in stretta relazione.
La mostra in parete dal 3 al 18 novembre è a cura di Annarita Rossi in collaborazione con Luigi Mazzardo.
Roger Ballen è uno dei più importanti fotografi della sua generazione, nato a New York nel 1950, vive e lavora in Sud Africa da oltre 30 anni.
Negli ultimi anni il suo particolare stile di fotografia si è evoluto rispetto alle opere precedenti ed al suo legame con la tradizione della fotografia documentaria.
Nella sua recente serie ha impiegato disegni, pittura, collage e tecniche scultoree per creare scenografie elaborate. Ballen ha inventato una nuova estetica, ibrida in queste opere, ma ancora fortemente radicata nella fotografia.
Le opere di Roger Ballen esposte in questa mostra, fanno parte di un progetto dell’artista realizzato dal 2005 e proseguito per otto anni, all’interno di una prigione abbandonata, The Theatre of Apparitions, in cui Ballen elabora le immagini a strati complessi che occupano uno spazio tra pittura, disegno e fotografia e che collegano la creazione di immagini con la rappresentazione teatrale.

Roger Ballen in collaboration with Marguerite Rossouw.
Thames & Hudson, UK 2017.

Dalla descrizione di R. Ballen e sue riflessioni:
Mi è stato evidente che tutte le forme di vita hanno uno spirito unico. Se diventiamo uno spirito dopo il nostro breve periodo sul pianeta terra, allora non è inconcepibile che tutto ciò che ha vissuto diventerà un’apparizione. L’universo è un posto molto grande quindi dovrebbe esserci spazio per tutti. La prima di queste immagini è stata scattata in una prigione femminile abbandonata durante le riprese di Memento Mori 2005. Un prigioniero aveva dipinto sopra un vetro della finestra, in una delle celle dove le persone erano rimaste isolate, solo con le pareti di cemento spoglie e la luce fioca per confortarle. Le visioni presentate sono scorci di parti altrimenti invisibili agli occhi, la materia dei sogni resi percettibili attraverso la potenza dell’obiettivo fotografico. Incarnati come opere viventi ora, ricordano le pitture rupestri e, come l’inconscio stesso, senza tempo. Di professione geologo, questi lavori mi rendono come un escavatore del mentale. Questo è un viaggio nella profondità della psiche: come il viaggio degli aborigeni che penetravano nella parte più densa della palude australiana, non per trovare sogni, ma l’origine dei sogni stessi.

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