DA MOSCA – Eccomi al supermercato nel centro di Mosca, uno di quelli noti per la presenza di prodotti di grande varietà per tipologia e origine, è uno dei primi sabati dopo l’entrata in vigore delle sanzioni. Cerco la carne, i formaggi e qualche verdura. Salumi no, perché ne acquisto pochi. Frigoriferi spenti, fuori servizio si legge (e ci scusiamo con la clientela per il disagio), ma in realtà, capirò poche ore dopo, il blocco delle importazioni dell’agro-alimentare da Unione europea, Stati uniti, Australia e Canada ha avuto effetti quasi immediati. Si parlava già da giorni di Coca Cola che ritirava gli spot dalle televisioni russe, di Rospotrebnadzor (agenzia russa a tutela dei consumatori) che ordinava controlli su carni e cibo “fast” di McDonald, di aumento dei controlli sanitari da parte del servizio veterinario e fitosanitario Rosselkhoznadzo. Poi è arrivata la guerra delle sanzioni, prima strali, scambi minacciosi, poi i fatti. Soprattutto da parte della Russia. E mentre la Commissione europea decide di istituire una task force per stimare l’impatto della decisione russa di bloccare le importazioni agroalimentari dall’Unione europea, si percepisce (o meglio, si sa) già che i danni di tali divieti per l’Europa, e l’Italia in particolare, potranno essere ingenti.

Le esportazioni di prodotti agroalimentari italiani in Russia, nonostante le tensioni, sono aumentate dell’1% nel primo quadrimestre del 2014, dopo che nel 2013 avevano raggiunto la cifra record di 706 milioni di euro. Secondo l’associazione degli agricoltori italiani, in particolare, oggi potrebbero essere danneggiate “spedizioni di ortofrutta per un importo di 72 milioni (molte merci sono ora bloccate alle frontiere), di pasta per 50 milioni di euro e di carni per 61 milioni di euro”. Per il Parmigiano reggiano sono a rischio-export circa 10.800 forme (cifra raggiunta nel 2012 con una crescita del 16%), per 6 milioni di euro di fatturato, per Grana padano, le sanzioni russe sono altresì assai pesanti, mentre il Consorzio del prosciutto di Parma comunica che si tratta di un “brutto colpo in prospettiva, che vanifica gli sforzi compiuti in questi anni”.

Ma cosa succederà sugli scaffali dei supermercati russi? Secondo molti, poco o nulla. I partecipanti del mercato sono convinti che gli affari non soffriranno e che le possibilità per gli importatori stranieri di aggirare le sanzioni ci saranno; oltre a ciò, la Russia si riorienta verso l’import dall’America latina, dall’Asia e dalla Turchia. Da un lato, la Russia punta anche a garantire la sicurezza alimentare, promuovendo il consumo di produzioni locali, dall’altro cercherà nuovi fornitori su nuovi mercati “amici”. Bell’esercizio di “autarchia”.
“Gli scaffali russi non si svuoteranno di certo: la Turchia e i paesi dell’America latina sono pronti a colmare il vuoto lasciato dagli europei. L’unico problema è l’aumento dei costi di trasporto che influiranno sul prezzo. Inoltre, i nuovi prodotti potrebbero rivelarsi di qualità inferiore rispetto a quelli europei“, ha detto in un’intervista il capo del dipartimento regionale di Economia e di geografia economica, Aleksej Skopin. Secondo la sua opinione, la crescita dei prezzi sui prodotti agricoli sarà dal 5 al 10%. Esiste però un’altra opzione. La produzione europea potrebbe rimanere sugli scaffali russi anche se sotto un’etichetta diversa. Secondo Dmitrij Potapenko del Management development group inc. non è da escludere che i rifornimenti delle merci europee possano continuare attraverso i paesi dell’Unione doganale (Bielorussia e Kazakistan). Tutto da vedere.

Quello che ci fa sorridere, in tutto questo surreale gioco di parti, è la rete, le frasi e l’ironia e, a volte, il sarcasmo dei suoi frequentatori. Alcuni internauti russi scrivono che “la Russia è il primo paese che abbia avuto l’idea di dichiarare lo sciopero della fame”, altri si domandano se i russi siano condannati a mangiare kotlety, ovvero quei pezzi di carne la cui composizione a volte suscita qualche perplessità…

Qualcun altro pensa di chiedere l’asilo gastronomico, c’è poi anche chi si chiede, simpaticamente, se una cena in un ristorante italiano possa considerarsi una riunione non autorizzata… Qualche maldicente prevede il ritorno all’avoska, la retina con cibi e bevande che si teneva con sé durante l’epoca sovietica, “giusto nel caso in cui…”.
Si anticipa il declino di posti come l’Azbuka vkusa (“l’abc del gusto”), catena di supermercati alta gamma dall’ottima reputazione per i suoi prodotti freschi importati.
Ma molti non si preoccupano davvero, la vita continua, e si può sempre bere il kefir.
