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Chiude il Museo del Risorgimento e della Resistenza e muore un altro pezzo di Ferrara. Alla faccia della rinascita post Covid-19.
Ne scrive su queste pagine, con molto dolore e nessuna meraviglia Giovanni Fioravanti. Nessuna meraviglia giacché la notizia – la decisione di inscatolare tutto per far posto alla biglietteria a al bookshop dei Diamanti 2.0 – risale a più di due anni fa, non è cioè attribuibile alla attuale Giunta di Centrodestra, ma alla precedente di Centrosinistra. Insomma. questa volta I governanti di oggi si sono  limitati ad avvallare e mettere in pratica la scelta già presa dai loro predecessori.
Ecco quindi che questo breve commento non potrà essere tacciato di partigianeria.

Non mi interessa qui tornare a disquisire sul grande progetto Diamanti, che tante polemiche ha provocato e ancora tante ne proporrà in futuro. Voglio dare addirittura per scontato (cosa che in effetti non è) che la nuova galleria dei Diamanti avesse bisogno necessariamente di conquistare quegli spazi che da tanti anni erano occupati (e assai visitati) del Museo della Risorgimento e della Resistenza. Il problema vero è come nessuno abbia pensato che occorresse prima di tutto individuare per quel piccolo e importante Museo altri spazi in città. E che gli ipotizzati nuovi spazi non dovevano rimanere sulla carta, ma occorreva restaurarli, organizzarli, allestirli. Il Museo doveva essere smontato, trasferito e subito rimontato nei nuovi locali, non già inscatolato a prender polvere, in vista di una futura e tutta ipotetica ricollocazione.

Non si tratta di un’operazione indolore e a costo zero. Perché un museo costa. Ideare, organizzare, fondare e quindi gestire un qualsiasi Museo costa soldi e fatica. Costa in risorse economiche, che naturalmente sono a carico di tutta la collettività. E costa in energie intellettuali e materiali, individuali e collettive.
Disfare un museo, invece, costa pochissimo: basta rivolgersi a una buona squadra di facchini, o, secondo una più moderna accezione, a una efficiente ditta specializzata in logistica.
In tutti i casi, il risultato è il medesimo: una montagna di scatoloni (“Boh, per adesso li mettiamo lì”)  e la solita promessa di una riapertura prossima ventura. Una promessa cui è difficile credere, se mettiamo in fila i tanti Musei fantasma, quelli nati e morti a Ferrara nelle ultime tre decadi. Cito solo i primi che mi vengono in mente: Il Museo della Metafisica, Il Museo Antonioni, il Museo dell’Architettura, Il Museo dell’Illustrazione, Il Museo dell’Hermitage,..
Chiudere un museo costa molto poco, Qualcuno però dovrebbe chieder conto agli amministratori ‘inscatolatori’ di tutto lo spreco di denaro, di idee, di impegno intellettuale che erano stati necessari a farlo nascere e vivere.

“Ferrara Città d’Arte e di Cultura”: bello slogan: siamo tutti d’accordo. Ma se davvero pensiamo allo sviluppo della Cultura e della Conoscenza come alla via maestra per la Ferrara futura, chiudere un museo – qualsiasi museo, specie uno di valenza così alta come il Museo del Risorgimento e della Resistenza – significa incamminarsi sulla strada opposta.

 

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Francesco Monini

Nato a Ferrara, è innamorato del Sud (d’Italia e del Mondo) ma a Ferrara gli piace tornare. Giornalista, autore, infinito lettore. E’ stato tra i soci fondatori della cooperativa sociale “le pagine” di cui è stato presidente per tre lustri. Ha collaborato a Rocca, Linus, Cuore, il manifesto e molti altri giornali e riviste. E’ direttore responsabile di “madrugada”, trimestrale di incontri e racconti e del quotidiano online “Periscopio”. Ha tre figli di cui va ingenuamente fiero e di cui mostra le fotografie a chiunque incontra.


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it