Le quattro donne si erano date appuntamento in quell’albergo sul lago, dopo non poche difficoltà, considerando che ciascuna aveva una propria vita, tempi e ritmi diversi da conciliare con quelli delle altre, impegni, obblighi, scadenze. L’allarme era arrivato a Rosanna tre giorni prima, in piena notte, quando l’assurda suoneria del cellulare scaricata dal figlio di un’amica, “Viva la vida” dei Coldplay, l’aveva svegliata di soprassalto. Di solito spegneva il telefono perché una delle regole filosofiche della sua vita riguardava proprio la netta separazione tra vita privata e lavoro, almeno la notte… Non erano frequenti le chiamate notturne a quell’ora indecente; le era capitato solo qualche volta, in occasione del furto in casa della zia, la cugina che dava notizie dall’Australia, qualcuno che aveva sbagliato numero. Concitata, decisa e effervescente sul lavoro, pacata, disponibile, perfino sorridente e un tantino sciatta nelle poche ore giornaliere di vita privata. E anche la sua immagine fisica ne era la conferma: Rosanna era un donnone ben piazzato, viso aperto e mascella quadrata, occhi scuri severi, portamento austero e passo deciso. L’unico sfizio che quella donna si concedeva era la colorazione dei capelli, un rosso piuttosto vistoso che esaltava il taglio geometrico modernissimo. Un po’ meno regolare, per quanto riguardava le telefonate, era semmai la sua vita professionale dove il movimento, gli imprevisti e i colpi di scena non mancavano certamente.
Quella notte, dunque, rispose un po’ spiazzata alla chiamata.
“Sì?…”
“Pronto, pronto…sì…sono io…ciao, scusa, ciao Ros…oddio!…”
“Chi è? Chi parla?…”
“Valeria…” respirò affannosamente la donna.
“Caspita, Valeria, una vita che non ci si sente…cos’è successo? Ti sento agitata! Come stai?”
“Scusa, scusa, non sapevo cosa fare, chi chiamare… scusa! Oddio! Mi hai sempre ascoltata, ci vogliamo bene anche se siamo distanti e non ci sentiamo da molto.”
“Sì, certo, sempre, ma dimmi che è successo, ti prego! Dev’essere accaduto qualcosa di importante se chiami a quest’ora.”
“Mi sta cercando. Io scappo ma lui mi trova sempre. E’ un incubo infinito, una storia che mi seppellirà, mi seppellirà…!” e la donna scoppiò a singhiozzare rumorosamente.
Rosanna rimase in silenzio a ponderare la faccenda. Un’amica di vecchia data irrompe in piena notte e lascia intendere che è in pericolo, una storia dai toni gialli ancora incomprensibile, mah! Conosceva la tendenza melodrammatica di Valeria ma questa volta aveva avvertito una leggera inquietudine mentre l’ascoltava. Aspettò che l’amica si calmasse e chiese di raccontare cosa diavolo stesse succedendo.
“E’ Gahiji…” rispose indecisa Valeria.
Rosanna sapeva fin troppo bene chi fosse Gahiji e il solo nome rafforzò la sua inquietudine. Si accorse che si era svegliata del tutto ed era ritornata completamente reattiva. Aveva conosciuto quell’uomo in Egitto, quando ancora i viaggi con le amiche erano un appuntamento fisso ogni estate. Avevano scorazzato per l’Europa e quando il vecchio continente era diventato stretto e privo di attrattiva si erano rivolte ad altro, mete lontane, esotiche, affascinanti e misteriose. O almeno così lei le definiva. Erano sempre loro, Rosanna, Valeria, Ines e Francesca, avevano superato da un bel po’ l’età della “cavallina storna”, come amava definire i 20-30 anni Amelia, la zia di Rosanna, maestra elementare indefessa sulla soglia del pensionamento, che trovava per ogni occasione le espressioni letterarie secondo lei più calzanti. Erano cresciute insieme, dai banchi delle elementari alle superiori e poi era seguito il naturale distacco che raggiunge ognuno negli importanti snodi dell’esistenza: le scelte diverse, gli sviluppi degli eventi, gli impedimenti, le priorità. Rosanna era diventata una giornalista d’assalto, da prima linea nella cronaca nera, Valeria aveva lasciato la facoltà di lettere e si era sposata rinunciando all’università. Ines aveva fondato la Important & Creative Style ed era sempre alle prese con i suoi negozi di abbigliamento, Francesca aveva ereditato l’Hotel Drei Linden in Alto-Adige da una lontana parente senza figli, una vera botta di fortuna. Roma, Bari, Milano, Bolzano. Quattro città, quattro destini. Sì, certo, c’erano le telefonate e tutti i contatti possibili, feste comandate comprese, per auguri ed abbracci virtuali ma non era come sedersi una accanto all’altra, stringersi la mano, parlare guardandosi negli occhi e leggervi anche il non detto. Si erano perse un po’ di vista, quel tanto che basta per intraprendere liberamente ciò per cui ognuna era tagliata, senza la pressione di un’amicizia salda che bene o male può anche condizionare.
Rosanna era conosciuta nel suo ambiente come “Panzerschrank”, inarrestabile davanti alle difficoltà, ed i suoi pezzi erano i migliori, quelli che venivano letti anche da coloro che sfogliano distrattamente il giornale.
Sue erano le interviste più clamorose a qualche personaggio legato alla criminalità o a fatti delittuosi di qualche tipo, sparizioni inspiegabili, storie dai contorni offuscati, reati di ogni tipo e lei si circondava di una fauna umana strana, imprevedibile, pericolosa e pronta a colpire. Affrontava tutto intingendo la penna nel veleno, senza risparmiare niente e nessuno, senza mezzi termini e compromessi. Uno spirito libero, che non scendeva a patti né con i redattori, né con i lettori e nemmeno con se stessa. Il suo pane quotidiano erano le istantanee raccapriccianti della realtà torbida, il lato oscuro dell’essere umano che conduce ad azioni e conclusioni efferate, la violenza ed il sangue che gocciola da essa. Alzarsi la mattina, era per lei imbracciare un bazooka ed andare a combattere, conscia che il suo mestiere fosse difficile, sporco ed affascinante- e non poteva che essere tale il sistematico e continuo rovistare fra le miserie umane, i tabù, le perversioni e i delitti. “La mia spazzatura”, diceva sempre, ridendo e ironizzando su se stessa. Ma amava il suo lavoro e la sua onestà intellettuale le permetteva di sopravvivere. Quella notte, quindi, cercò di calmare Valeria senza indagare oltre, poiché porre altre domande avrebbe condotto al risultato opposto. Non era il momento e non era la modalità più adatta.
“Sei sola in casa?” concluse.
“Sì”.
“Hai parlato con qualcun altro?” chiese semplicemente.
“Sì, ho chiamato Ines e Francesca ma non mi hanno risposto…”
“Ora riprendi calma e riposati. Tra qualche ora ti chiamo. Promesso, sta’ tranquilla.”
Non riuscì a riprendere sonno perché ormai lo stato di torpore era totalmente svanito. Si mise a tracciare ipotesi e schemi, scenari e situazioni possibili; ‘deformazione professionale’ avrebbe detto qualche suo collega.
Prima ancora di fare colazione chiamò Ines e Francesca che stranamente risposero con tempestività, cosa sbalorditiva, dati gli impegni che le oberavano e rendevano la loro vita una corsa ad ostacoli con innumerevoli traguardi, cronometrata costantemente. Spiegò concisa, com’era abituata a fare, ciò che era accaduto nella notte e chiese alle amiche un incontro, che doveva risultare anche un pretesto per vedersi dopo molto, troppo tempo.
Il Drei Linden sembrò essere l’ambiente ideale in cui ritrovarsi e stare tranquille. Era una elegante costruzione di inizi secolo, trasformata per un certo periodo in ospedale militare tedesco durante la Seconda Guerra Mondiale, dove soldati convalescenti reduci dal fronte, venivano curati e riabilitati. Quante storie in quell’edificio imponente, che conservava ancora tra quelle mura l’eco di tragedie personali, segmenti di vite drammatiche, grida silenziose ed incubi notturni di chi ha vissuto l’orrore! Ogni tanto Francesca ci pensava, soprattutto quando qualche vecchio del paese le raccontava qualcosa tra il vivo ricordo e le fantasticherie, oppure quando passeggiava nel parco fino al laghetto, – chissà quanti soldati hanno percorso questo sentiero o si sono riposati sulla riva…
Ora c’era una pittoresca SPA con centro benessere apprezzatissimo, stanze in abete naturale con ogni comfort e sale, salette ed angolini di ogni genere, illuminati da luci soffuse tra sculture di cervi, slitte, mazzi di fiori alpini con stecche di cannella, cuori di legno cirmolo profumato e pizzi antichi fatti a mano. Se non fosse stato per l’urgenza e l’aspetto inquietante dell’appuntamento, sarebbe stata la vacanza perfetta.
Si salutarono con trasporto, dopotutto era passato parecchio tempo dall’ultimo incontro e la voglia di rivedersi emergeva in tutta la sua vivacità.
Passarono la giornata a raccontarsi, tra un caffè ed una fetta di sacher, l’aperitivo e ogni bendiddio che il Drei Linden ostentava orgogliosamente.
Francesca raccontò dei sacrifici ben ripagati nel risollevare le sorti di quel vecchio hotel destinato alla demolizione, se solo lei lo avesse permesso; non risparmiò i particolari della sua vita sentimentale che l’aveva condotta a due matrimoni finiti tristemente ed una relazione stabile, solida e felice che l’aveva aiutata nel realizzare il sogno ‘Drei Linden, i ‘Tre Tigli’, proprio quei tre alberi secolari sotto i quali aveva pianto, in passato, un sacco di volte. Romantica e testarda – pensò Rosanna – esattamente com’era sempre stata. La vita non l’aveva piegata, semmai aveva rallentato il suo cammino, ma piegata mai. Aveva acquistato perfino un sottile fascino che una volta non possedeva: curata, sicura, soddisfatta, emanava bellezza come il posto stesso che aveva creato.
Contrariamente a Valeria, che ascoltava seria e silenziosa le amiche, Ines non nascondeva la voglia di raccontare di sé e del proprio mondo, visibilmente impaziente. Il racconto di Francesca l’aveva probabilmente sollecitata e moriva dalla voglia di esporre senza presunzione i suoi successi, quasi fosse una simpatica gara tra lei e l’altra. Era sempre stata un po’ precipitosa o, come la definivano gli insegnanti, ‘impulsiva’, il che, alla lunga, era diventata una caratteristica che le permetteva di osare, provare, sperimentare, confidare coraggiosamente nelle occasioni che il destino raramente offre. Buttarsi a capofitto e vincere o perdere, insomma. Lei aveva stravinto con il piccolo laboratorio di sartoria che era diventato un grande atelier con i collaboratori giusti e, dopo poco tempo, era arrivato il primo negozio.
Da cosa nasce cosa, affermava con le mani sui fianchi mentre controllava ciò che la circondava con occhio clinico per poi rituffarsi in nuove idee e progetti. Il negozio era diventato il primo di una discreta serie di punti vendita ed il marchio Important & Creative Style era idolatrato dalle teenagers di tutta la penisola. C’era da scommetterci che avrebbe varcato a breve i confini nazionali. Colori, tessuti particolari, tagli stravaganti, fantasie di mongolfiere, alberelli, biciclette, pinocchi e bolle di sapone facevano impazzire le ragazze di ogni dove, piccoli cacciavite e martelli stampati, computer, macchinine e tigri rallegravano e rendevano uniche e trendy camicie e cravatte di giovani maschi. Ce n’era proprio per tutti, Ines e i suoi erano un vulcano in piena eruzione.
Improvvisamente Valeria interruppe le amiche e Ines ammutolì senza alcun tentativo di aggiungere ancora qualcosa alle sue chiacchiere.
“Bene, tocca a me.” esordì con una voce strana. Il tono era grave e l’espressione del suo viso parlava da sola.
“Gahiji…ecco, lui.” Aveva gli occhi stralunati, le guance esageratamente arrossate e si umetteva in continuazione le labbra con la lingua.
“Beh? E’ da tanto che non lo vedo e non lo nomini mai quando ci sentiamo…” aggiunse Rosanna. Francesca assentì seria, condividendo.
“Non l’ho raccontato a nessuno, proprio a nessuno. Ma ora ho paura.”
“Paura?” si preoccupò Ines.
“Non ce la faccio più. Quando lo abbiamo conosciuto era tutto diverso: noi in vacanza, L’Egitto, lui che era così affascinante e ci spiegava i posti, le tradizioni e la sua gente… Voi lo sapete quanto ero innamorata di quell’uomo, quanti progetti facevo, quanta la voglia di vivere la mia vita con lui! Lo so, Rosanna, tu sei sempre stata critica su questa storia ed hai tentato in tutti i modi di dissuadermi ma ho fatto di testa mia.”
“Già, hai lasciato l’università in quattro e quattr’otto, hai piantato famiglia, parenti e amici e te ne sei andata a vivere a Bari con lui perché lui aveva deciso così e perché là qualche suo connazionale lo avrebbe aiutato. Ho pensato tantissime volte a questa situazione e non me ne sono mai fatta una ragione. E’ quello che penso anche ora.” affermò decisa Rosanna.
“E’ andata bene il primo anno, tutto nuovo, tutto da scoprire. E poi lui pieno di attenzioni anche se i soldi erano pochi e non sapevo mai da dove arrivassero. Girava molta gente a casa ma io me ne stavo fuori. Facevo quello che dovevo fare, la donna, come diceva sempre lui. Solo così se ne stava calmo. Quante volte vi ho pensato!” disse con gli occhi lucidi.
Le amiche si guardarono in silenzio per qualche minuto, nessuna aveva più tanta fretta di approfondire.
Valeria ruppe questo momento di raccoglimento. “Vuole tornarsene in Egitto perché si è messo nei guai con i suoi connazionali. Non so di cosa si tratti ma non si dorme più la notte. Vuole anche che lo segua al suo paese, vi ricordate quel posto fuori dal mondo? Allora era suggestivo, magico… Ci sentivamo le regine del deserto… Non vuole sentire scuse. Devo andare con lui altrimenti…”
“Era quel posto a sud di Al Khărjah, ricordo. E’ là che l’abbiamo conosciuto.” aggiunse Ines “Sembrava di essere piombate in un altro mondo, il silenzio, quelle stelle di notte, l’infinito della sabbia, le palme da dattero, il folklore, la diffidenza ma anche la gentilezza di quelle due-tre famiglie…”
“Ha cominciato a controllare ogni mio movimento,” esplose inaspettatamente Valeria” quando uscivo, quando ero in casa, di giorno, di notte… Erano strattoni e minacce ogni volta che non lo assecondavo o dichiaravo di volermene andare definitivamente. Dopo molto sono riuscita a trovare ospitalità presso una conoscente anziana che aiuto volentieri in casa. Ora sto là, in perenne stato di ansia, nel terrore che una volta o l’altra irrompa in casa e ce la faccia pagare una volta per tutte. Quando vi ho chiamate, era sotto casa e si aggirava come un fantasma sibilando il mio nome. Sono in piena notte per venire qua, spero nessuno mi abbia vista. La cosa che non vi ho ancora detto è che aspetto un bambino.”
Le altre si guardarono con occhi sgranati, i ricordi suggestivi del deserto se n’erano ormai andati in frantumi.
Rosanna si riprese per prima.
“Domani ti accompagno alla Polizia.” disse pragmatica, con un tono che non ammetteva scuse. “Racconterai tutto e poi vedremo. Non puoi più vivere sotto minaccia e tantomeno andare in Egitto.” Francesca si avvicinò a Valeria e l’abbracciò accarezzandola in modo protettivo sulla testa.
Mai come in questo momento le quattro donne si erano sentite così legate da affetto e condivisione che si trasformava pian piano in un unico fronte comune per contenere qualcosa di minaccioso e distruttivo, contro quell’ombra pesante che ciascuna di esse avvertiva.
“Andiamo a letto, ora!” esortò Rosanna. “Domani sarà una giornata pesante.”
Valeria si asciugò le lacrime. “Buonanotte, non so come ringraziarvi. Vi voglio bene.”
Ciascuna trascorse la notte a modo suo, leggendo, vegliando, qualche telefonata, assopendosi per poi svegliarsi di soprassalto. Certo è che nessuna dormì con quella serenità e quell’abbandono di cui avrebbero avuto tanto bisogno.
La colazione fu silenziosa, nemmeno una parola.
Si apprestarono a lasciare l’Unter den Linden per recarsi alla Stazione di Polizia in città, quando una macchina frenò rumorosamente davanti all’ingresso della hall, tagliando loro il passo. Un uomo scese precipitosamente biascicando delle parole incomprensibili. Valeria divenne una statua di sale che fissava il suo sguardo sul volto di lui, alterato ma ancora bello. Le tre amiche le tenevano le braccia aspettandosi chissà cosa. La situazione era surreale. Come aveva fatto quell’uomo a trovarle? Che ne sapeva del loro incontro? In preda agli interrogativi, nessuna si muoveva. Si mosse lui, come un serpente corallo che in un attimo ti raggiunge le caviglie ed attacca. Afferrò Valeria scostando le altre e le intimò di tornare a casa. Volarono minacce mescolate con promesse e lusinghe, parole e discorsi che raggiungevano confusamente Valeria, che nel frattempo non si era mossa di un centimetro.
Poi tutto accadde.
Prima ancora che qualcuna delle donne in preda allo sconcerto avesse la prontezza di reagire, Valeria si liberò della presa, si avviò verso la macchina dell’uomo e si sistemò spossata sul sedile.
“Andiamo.” disse. “Devo andare con lui. Scusatemi, vi voglio bene.” aggiunse rivolta alle amiche.
Come alla fine di un film, quando la tensione dello spettatore si allenta e lascia il posto ad uno stato di leggera prostrazione, pensò nei giorni successivi Rosanna , senza trovare una sola giustificazione alla scelta di Valeria. Ma è stata davvero una scelta? continua a chiedersi.
Non hanno più saputo di lei, niente telefonate, i parenti all’oscuro, niente di niente. Nemmeno Rosanna, nel suo ambiente di cronaca, è mai venuta a contatto con informazioni che dessero motivo di allarmarsi ancora.
Ogni tanto riaffiora il ricordo di Valeria, la nominano prudentemente associando il suo nome a quello di Gahiji ed ogni volta Rosanna non può fare a meno di pensare che Gahiji significa cacciatore…
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Liliana Cerqueni
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