IL DOSSIER SETTIMANALE
Ritorna la Chiesa del sorriso e dell’accoglienza
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Operare per il bene comune, respingere l’individualismo, l’egoismo, le chiusure. Agire in spirito di fraternità, sostenere il valore dell’uguaglianza e il rispetto, qualunque sia la condizione sociale o il credo religioso. E’ cristallino l’eco delle parole del nuovo vescovo di Ferrara, Giancarlo Perego. Cita papa Francesco e don Milani, ha accanto Matteo Zuppi il “vescovo di strada” di Bologna e don Luigi Ciotti il prete antimafia di Libera e della comunità Abele. Quanta distanza dal suo predecessore…
Dice: “E’ interessante come questa locuzione “bene comune” sia diventata, anche grazie al Magistero sociale, una categoria della politica, della democrazia. Lo Spirito genera anche ‘communitas’, educa al vivere insieme, a un ‘interesse’ per gli altri – come diceva don Milani – alla ricerca del bene dell’altro. In questa direzione meritano di essere ripetute le parole di papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium: “Il Vangelo invita prima di tutto a rispondere al Dio che ci ama e che ci salva, riconoscendolo negli altri e uscendo da se stessi per cercare il bene di tutti. Quest’invito non va oscurato in nessuna circostanza!”
Aggiunge: “Pace e perdono richiamano la necessità di rivedere le categorie del nostro pensare e parlare che talora sembrano ritornare alla legge del taglione”. L’esortazione è a “costruire una comunità unita, dove tutti sono responsabili di tutti, aperta alla pace e al perdono, con lo sguardo al futuro”. E lancia un monito: “Diffidiamo di chi esclude, chiude, allontana, abbandona”. L’epoca del vescovo Negri sembra già sfumata…
Monsignor Luigi Negri, uomo colto ma non misericordioso, vescovo sempre lesto a propugnare verità indiscutibili e a esprimere sentenze inoppugnabili, è apparso negli anni del suo ministero ferrarese davvero lontano dallo spirito di papa Francesco racchiuso in quel celebre e spiazzante “chi sono io per giudicare”…
Negri è il vescovo che ha esaltato i crociati come testimoni di fede e approvato le loro sanguinarie imprese, quasi che fossero evangelizzatori; ha scritto la prefazione a un libro di Berlusconi (del quale evidentemente non lo turbava il costume lassista e la morale elastica), ma appena giunto in città si è indignato e ha puntato l’indice contro i giovani della ‘movida’ ferrarese, senza sforzarsi neppure per un attimo di comprenderne i bisogni o cercare un dialogo per lenire il loro eventuale disagio o smarrimento (come imporrebbe il suo ruolo); ha insultato gli omosessuali (si ricordino costoro che fino a qualche anno fa erano considerati anomalie di natura, ha detto); ha palesato fastidio e ostilità nei confronti dei migranti, senza mai mostrare compassione per la loro sorte. Ha poi celebrato se stesso con ostentazione in una serie di pubbliche anacronistiche parate in occasione del decennale del suo episcopato.
Insomma ha mostrato un volto medievale e oscurantista, il peggio di una Chiesa ripiegata su se stessa, gelosa custode del proprio potere e del proprio Verbo. Ha proferito frasi controverse su Papa Francesco e si è scandalizzato per la nomina a vescovo di Bologna di Matteo Zuppi, prete di strada. Ha infine ‘scacciato dal tempio’ i sacerdoti africani di pelle nera di Santa Maria in Vado (accogliendo la congregazione della Familia Christi che celebra messa in latino), quando in quel luogo ha scelto di eleggere il proprio ‘buen retiro’ post episcopale, la sua dimora di vescovo in congedo, che ha voluto mantenere proprio qui, a Ferrara… una città che evidentemente gli garba e che in parte di corrisponde, poiché anche una componente della nostra comunità è intrisa dello stesso spirito.
Monsignor Negri (che beffa, per lui, questo cognome) quindi resterà ancora qua, fra noi, come i “negri” che continueranno ad arrivare dal mare, piaccia o non piaccia: l’uno e gli altri insieme, volti contrastanti della magmatica contemporaneità.
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Sergio Gessi
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