Come era facilmente prevedibile il “modello papa Francesco” sta facendo proseliti. Ieri, al termine della direzione Pd che ha sancito l’insediamento di Matteo Renzi alla segreteria del partito, il neoeletto ha conversato con i giornalisti mentre lasciava la sala, trascinandosi dietro il proprio trolley senza l’aiuto di una figura che ha iconograficamente segnato decenni di vita politica italiana: il portaborse. Gli inviti alla sobrietà e alla semplicità del nuovo pontefice non solo fanno breccia fra le gente comune, ma in qualche modo impongono anche ai notabili (siano essi politici o dirigenti d’altro tipo) di rivedere i loro comportamenti. Per Renzi non è una novità assoluta, ma ora pure tanti suoi colleghi, per convinzione o per opportunità, si stanno adeguando. Ben vengano, dunque, quei gesti simbolici, fossero anche consapevolmente ostentati (la borsa, appunto, portata a mano; la vecchia auto in luogo dell’ammiraglia; lo scardinamento dei protocolli) se servono una buona causa: quella di ricondurre tutti a una dimensione di normalità e dunque, in un certo senso, di uguaglianza.
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Sergio Gessi
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