C’è uno spettro che si aggira per il mio cervello, lo spettro di infiniti momenti postprandiali provenienti da infinite domeniche della mia infanzia.
Ci sono ricascato ormai da qualche anno – colpa di un compagno di band – ma mai come quest’anno sono uscito di testa per quella cosa immorale che è il campionato di Formula Uno.
Considerando che – nel mondo reale – abolirei l’automobile, devo dire che mi sento un bel po’ scemo.
Tuttavia, mai come quest’anno, non riesco a smettere di contare i giorni che mancano al prossimo Gran Premio.
So che sembra una cosa folle: macchinine colorate che girano in tondo per più di un’ora, fittissimi numerini a lato dello schermo, regolamenti molto spesso incomprensibili e – per molti – la noia più noiosa.
A me però, questa roba ha sempre messo una strana cosa addosso, una specie di esaltazione narcolettica, un senso di concentrazione e riflessività che forse si può provare solo guardando il tennis o due persone che giocano a scacchi, non lo so.
Forse mi dovrei far vedere da qualcuno ma quand’ero piccolo – per me – questi stupidi eventi domenicali, questi sprechi di soldi orribili a base di inquinamento totalmente privo di senso, sono stati quella cosa che per molti altri bambini era boh, l’ossessione per certi cartoni giapponesi.
Spesso, chiedendomi il perché di questa mia puerile ossessione, ho ipotizzato che il tutto potesse essere riconducibile a quell’insieme di colori e dinamismo tendente all’epilettico che si può notare osservando un Gran Premio in tv, ovviamente se non ci si addormenta subito dopo la partenza come succede a molti.
Banalmente, ho pensato anche che questa mia fissa potesse derivare da una perversione scatenata dal mio luddismo latente: qual è il punto in cui, questi ometti nascosti dentro a quelle macchinine, annullano il fattore del mezzo per fare la differenza loro in quanto ometti?
Ad ogni modo: chi se ne frega.
Sono domande decisamente inutili e questo mondo è già abbondantemente nella cacca quindi forse è meglio chiuderla qui e passare al pezzo della settimana, un pezzo scritto da un uomo illustre, pure lui afflitto da questa perversione.
Faster (George Harrison, 1979)
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