Raee in carcere: una seconda occasione, non solo per i rifiuti
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“Non si può stare in cella 20 ore al giorno con solo 4 ore di aria, 2 al mattino e 2 al pomeriggio”, “Una delle maggiori difficoltà è l’impatto quando si entra: se si inizia subito a socializzare, si riesce a passare il tempo impegnati a fare qualcosa, altrimenti è dura. È proprio come se ti dovessi ricostruire una vita dentro: scuola, lavoro, casa, ma non tutti riescono a farlo”.
Aamir è arrivato in Italia dal Marocco nel 2001 e ha iniziato a fare il manovale nel settore edilizio. È stato arrestato nel 2003, davanti a sé ha ancora un anno e mezzo di affidamento ai servizi sociali per terminare la pena. Lo incontriamo nel magazzino di via Boito della Cooperativa sociale Il Germoglio, dove si occupa della raccolta e del recupero dei Raee (rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche) e dei toner per stampanti. Lui, infatti, è uno di quelli che ce l’ha fatta a riprendere in mano la sua vita, anche grazie alla Cooperativa Sociale Il Germoglio e al Progetto interprovinciale Raee in carcere.
“Ho sempre studiato e lavorato in carcere – ci tiene a sottolineare Aamir – ho fatto corsi di inglese, grafica, stampa digitale e mi sono iscritto a scuola completando il biennio delle superiori. Nello stesso tempo ho lavorato come manutentore, elettricista, giardiniere, aiuto cuoco: mi sono tenuto impegnato. È l’unico modo per non pensare a quello che ti sta intorno. Per questo è una fortuna che esistano progetti come Raee in carcere”.
E’ Barbara Bovelacci di Techne – consorzio forlivese che si occupa di formazione e inclusione – a spiegarci come è nato Raee in carcere: “nasce con Equal Pegaso, un programma europeo che finanziava azioni mirate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate tra cui detenuti ed ex-detenuti. Nel 2004 abbiamo presentato alla Regione Emilia Romagna e all’Amministrazione Penitenziaria un progetto con l’idea di lavorare sui rifiuti raee in tre province diverse, Bologna, Ferrara e Forlì-Cesena. Da lì è partito un ampio studio di fattibilità, con la consulenza del Gruppo Hera”. “L’idea alla base di Raee in Carcere – continua Bovelacci – è costruire un’alleanza tra enti di formazione e cooperative sociali di tipo b, che si occupano dell’inserimento lavorativo delle persone cosiddette svantaggiate: in questo caso IT2 a Bologna, Formula Solidale a Forlì, Il Germoglio a Ferrara. Le cooperative sociali hanno ruolo di vero e proprio inserimento lavorativo dei detenuti e di gestione dell’attività produttiva nei laboratori, mentre gli enti di formazione hanno la funzione di accompagnare e formare le persone e di seguire il coordinamento dell’iniziativa, favorendo la sinergia tra le tre province coinvolte. La Regione è stata promotrice iniziale del progetto e, con l’Amministrazione penitenziaria, svolge un ruolo di garante istituzionale. Attraverso il suo supporto è stato possibile stipulare il Protocollo di intesa con i Consorzi Ecolight, Erp Italia ed Ecodom”. Proprio qui, sottolinea Bovelacci, sta una delle specificità di questo progetto: “il coinvolgimento dei Consorzi in tutto il ciclo del trattamento dei raee garantisce la trasparenza dello stesso”. Legalità lungo tutta la filiera, dunque: niente esportazione dei rifiuti elettronici verso discariche nel Sud del mondo e niente commercio illegale di pezzi e materiali, come per esempio il rame, diventati più preziosi in questi anni di crisi.
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Per tutte le foto – compresa quella di copertina – ©Elisabetta Zavoli
“Nel 2009 – racconta ancora Aamir – è partito il corso di formazione per lo smontaggio dei raee e la separazione e il recupero dei componenti e dei materiali, stampanti, computer e cose così. Ho partecipato per 3-4 mesi e quando è iniziato il laboratorio per lo smontaggio dei grande raee bianchi, come lavatrici e lavastoviglie, ho lavorato con loro all’interno del carcere: ho iniziato con una borsa lavoro, poi il tirocinio e dal 2014 sono assunto con un part-time, ora che sono fuori in affidamento, mi occupo della raccolta dei raee e dei toner e continuo anche con la divisione dei materiali qui in magazzino”. “Partecipare a questi progetti offre l’occasione di essere positivo, di pensare in modo positivo al futuro, alla possibilità di fare qualcosa quando si uscirà: sono prove all’interno per quando sarai fuori e accompagnano nel percorso di uscita. Se uno non fa niente dentro, arriva a fine pena e lo mettono fuori, ma cosa può fare, dove può andare? Che possibilità ci sono per chi non ha una famiglia fuori? Invece con i corsi di formazione e i laboratori si inizia già a lavorare dentro e si viene messi alla prova prima con permessi e poi con la semilibertà. Tu stesso ti metti in gioco”. Non è facile come si potrebbe pensare: “è una questione di fiducia, che in carcere è difficile da guadagnare e facile da perdere, ma vale tutto”.
“All’interno esistono varie associazioni e realtà che aiutano i carcerati, donando oggetti e beni di prima necessità. Esiste anche un orto gestito dall’Associazione Viale K che fornisce ai detenuti prodotti agricoli (Galeorto). Noi però siamo l’unica cooperativa sociale che opera all’interno del carcere. Siamo entrati nel progetto Raee in carcere nel 2009 – spiega Nicola, responsabile del settore Ambiente de Il Germoglio – Ricordo il primo giorno dentro: quante porte, sbarre, sembrava di entrare in un altro mondo, proprio come vi ha detto Aamir”. “Siamo stati coinvolti da Hera che ha visto in noi il partner ideale grazie al lavoro che già stavamo facendo sui rifiuti, in particolare sui raee. Abbiamo iniziato attraverso un corso di formazione in carcere al quale hanno partecipato 12 detenuti. Di questi ne sono stati assunti 6, inizialmente in borsa lavoro, poi assunti via via dalla cooperativa”. Anche per questo Aamir parla di ‘fortuna’: “Con le altre realtà che ho conosciuto in carcere non c’era un prospettiva di assunzione vera e propria, non portavano molte persone fuori, Il Germoglio invece ne ha portate fuori molte”.
Fra gli obiettivi di Raee in carcere, infatti, oltre alla sostenibilità sociale e ambientale, c’è anche quella economica, in altre parole la produttività: “Il progetto attualmente si finanzia da solo e ci permette di dare lavoro a due detenuti per 15 ore settimanali. Vengono lavorate circa 20 tonnellate di materiale al mese. Il laboratorio ne potrebbe lavorarne anche di più e questo ci permetterebbe di assumere più persone”, spiega Nicola.
Della stessa opinione è Barbara Bovelacci, che alla domanda sulle criticità del progetto risponde: “E’ complesso farla crescere, rimane stabile come quantità di rifiuti trattati e quindi anche come numero di lavoratori. La nostra aspirazione è farla crescere, aumentando i soggetti coinvolti e il volume dei rifiuti trattati e recuperati e sottratti così al destino di rifiuti veri e propri e al mercato illegale”. L’altra sfida, conclude Bovelacci, “è misurare l’impatto sociale sul territorio per avere un quadro reale di quanto questo tipo di iniziative siano utili e sostenibili e poterlo comunicare agli stakeholder e a tutti i cittadini”.
E ora che sei ‘quasi fuori’ Aamir, che fai e cosa vuoi fare in futuro?
“Continuo a tenermi il più impegnato possibile – scherza – mi alzo presto e vengo qui in laboratorio verso le 8.30, faccio 4 ore di lavoro, pranzo e poi, come hobby, faccio piccole riparazioni di oggetti elettronici oppure faccio volontariato: fin da quando ero in semilibertà collaboro con Viale K e con il loro mercatino dell’usato, che ho contribuito ad avviare, e con la loro mensa. Il mio sogno è mettere su una piccola attività per riparazioni di smartphone, pc, tablet, e quindi sto cercando un corso da poter frequentare”.
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Redazione di Periscopio
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