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Radiofreccia, ovvero il fascino nascosto della provincia

Quasi vent’anni dopo (il film è del 1998), vogliamo ritornare all’esordio della regia di Luciano Ligabue, al suo Radiofreccia che descrive perfettamente la provincia emiliana, quel luogo dove molti di noi sono nati e cresciuti, quel posto odiato-amato dal quale tanti sono fuggiti e scappati, ma al quale sono spesso ritornati con amore per le proprie antiche radici, con nostalgia per i luoghi caldi, chiusi, protettivi, amichevoli e familiari che ci accoglievano da adolescenti, per quel movimento che c’era e che mancava.

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La locandina del film

Ligabue descrive i fossi, i bar, che si possono tranquillamente chiamare Mario, Sport o Laika senza cambiare sostanza, ma narra anche la fine di una stagione, di quegli anni ’70 vissuti sul filo tra voglia di libertà, bramosia di comunicare col mondo, sete di nuove idee ed eroina, bombe, violenza e tradizione. In quel momento storico, difficile e complesso per il nostro Paese, nascevano anche le radio libere che diffondevano un senso di sogni, di respiro libero, di scelte svincolate da legami commerciali e da censura.
Ci sono poi gli amici, le emozioni vissute e traspirate con loro e attraverso di loro, un microcosmo di nomi, cognomi e soprannomi. Come non ricordare l’abitudine tipica della provincia di affibbiarsi nomignoli strani o di chiamarsi per cognome. E allora ecco Bonanza, fissato con il cinema, Kingo, che sente di avere affinità con Elvis, Virus, che cerca di attirare l’attenzione ingurgitando qualsiasi cosa gli capiti a tiro, e il barista, che è anche l’allenatore della squadra di calcio del paese, interpretato da Francesco Guccini.
Il primo a prendere sul serio le parole del barista-filosofo è Bruno che, con passione e coinvolgendo qualche amico, cerca di creare il proprio spazio on air. Finalmente Bruno (Luciano Federico) riesce ad avere la sua radio che i suoi amici Iena (Alessio Modica), Boris (Roberto Zibetti), Tito (Enrico Salimbeni) e Freccia (Stefano Accorsi) riescono a sentire anche a Brescello, a oltre 30 km a Correggio. Finalmente Bruno può trasmettere la sua musica, le sue canzoni, perché le canzoni sono quelle che non tradiscono mai. Bruno alla radio ci crede, perché in qualcosa bisogna pur credere. Anche con tanta voglia di divertirsi insieme e di ritagliarsi la propria libertà.
Freccia e i suoi amici vanno avanti, ognuno per la sua strada, chi passando dalla galera, chi giudicando il prossimo, chi sposandosi, chi raccontando e chi cadendo nella “nuova” moda dell’eroina per poi uscirne, ma per poi cadere ancora, per amore, per ossessione, per rabbia o perché non ci si è nascosti a sufficienza dal mondo. Già perché, come afferma Freccia, il mondo fuori è brutto e pericoloso, nel senso che “la vita non è perfetta, solo nei film la vita è perfetta, nei film la vita non ha tempi morti”.

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Ligabue durante le riprese del film

Ligabue racconta con i ritmi della commedia questa storia tratta dalla sua raccolta di racconti “Fuori e dentro il borgo”, una storia semplice, ritmata dall’accento emiliano. La colonna sonora coglie nel segno, passando da David Bowie (“Rebel rebel”), ai Doobie Brothers (“Long Train Running”), a Lou Reed (“Vicious”) fino ai Creedence Clerawater Revival (Run Throught The Jungle”); aggiungendo il suo tocco personale con “Ho perso le parole” (perse in seguito a una di quelle morti senza senso e giustizia di Freccia che, deluso da questioni amorose, si rifugia nell’eroina) e “Metti in circolo il tuo amore”, per passare alla scelta di accompagnare l’ultimo cammino di Freccia, il vero protagonista, con “Can’t help falling in love”, suonata dalla banda di Correggio.
Film meritevole per la profondità psicologica di trama e personaggi, per lo spaccato della provincia e degli anni ‘70, per i sogni e le delusioni che accompagnano la vita di ciascuno di noi e che ci accomunano, senza alcuna distinzione.

di Luciano Ligabue, con Luciano Federico, Stefano Accorsi, Francesco Guccini, Serena Grandi, Patrizia Piccinini, Italia, 1998, 112 mn.

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.


PAESE REALE
di Piermaria Romani

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)