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Quella volta che… il silenzio non è mai una soluzione

Articolo pubblicato il 18 Ottobre 2017, Scritto da Riccarda Dalbuoni

Tempo di lettura: 2 minuti


Quella volta che me lo sono trovata addosso, sopra e spingeva.
Era l’estate del 1989, avevo 13 anni, i miei genitori stavano costruendo la casa nuova, i muri dovevano asciugarsi e il mio compito era andare prima di cena a chiudere i battenti.
Quel giorno chiesi a un amico di accompagnarmi, era un ragazzo un po’ più grande che conoscevo da sempre. Chiusi le finestre del piano di sopra, si fece penombra e mentre scendevo le scale, lui mi prese e mi buttò sui gradini, mi salì sopra, cercò di baciarmi, di tenermi ferma. Era grande, pesante, muscoloso. Ed era un mio amico. Ma la sua voce era diversa, il suo respiro mi faceva schifo. Ho sbattuto la schiena sui gradini, ho urlato, sono scivolata via dalla sua stretta e sono scappata fuori. Se mi fossi paralizzata lì, tra lui e quell’odore di vernice fresca, non so cosa sarebbe successo, non ci voglio pensare, neanche adesso.
Non l’ho mai detto a nessuno perchè ero stata io che lo avevo invitato ad accompagnarmi e forse me l’ero cercata. Lo racconto oggi perchè in questi giorni si stanno sprecando giudizi e condanne su giovani donne che hanno accettato e taciuto. Non ho subito violenza sessuale nè un ricatto, ma il peso di un uomo che ti schiaccia quando non vuoi, il senso di sottomissione e paura sì. Il pensiero di essere in qualche modo complice o motore di una situazione che precipita, ti mette nel silenzio, anche per anni.
L’unica cosa che ho saputo dire, a casa, di quei momenti è stato “Mamma, non ho chiuso tutte le finestre, ero di fretta”.
Riccarda Dalbuoni

Per tutte le donne che se la sentono di raccontare #quellavoltache, Ferraraitalia dedica loro uno spazio.
Potete scrivere a ferraraitalia.social@gmail.com inserendo come oggetto “quella volta che”.

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Riccarda Dalbuoni

È addetto stampa del Comune di Occhiobello, laureata in Lettere classiche e in scienze della comunicazione all’Università di Ferrara, mamma di Elena.


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani