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Il nono dossier settimanale dell’estate 2017 di Ferraraitalia esce a ridosso del 37esimo anniversario della Strage di Bologna: la mattina di sabato 2 agosto 1980 la stazione era affollata di persone in partenza o di ritorno dalle vacanze, 23 kg di esplosivo rasero al suolo l’ala Ovest, ancora squarciata e con l’orologio fermo all’ora della detonazione perché nessuno possa dimenticare e chiunque sia di passaggio si fermi a ricordare, mentre l’onda d’urto investì da una parte il binario 1 il treno che vi stava fermo in sosta, dall’altra la piazzola dei taxi. Morirono 85 persone e ne rimasero ferite 200.

Era soltanto ieri, il 2 agosto 1980. Una mattinata torrida, “mai stato così caldo” dicevano radio e televisioni, l’asfalto si liquefaceva mandando fumi verso il cielo, le Due Torri da un momento all’altro potevano abbracciarsi, secondo loro antico desiderio, e poi crollare esauste, stanche di vedere ai loro piedi un popolo senza più idee, chissà forse stremato dal dover essere l’esempio, esempio di onestà civica, intellettuale, politica. C’era una strana aria calma in giro, i diplomatici di professione dicevano che il terrorismo era acqua passata. Io inorridivo, ma mi accusavano di essere un avventurista, come affermava un compagno cretino, o, peggio, un disfattista. In un saggio pubblicato su ‘I problemi della transizione’, il periodico del Pci di discussione filosofica, di cui allora ero direttore responsabile, scrissi che il peggio non era ancora arrivato, suscitando la meraviglia e anche l’ira del partito dei compagni seduti al tavolo dei dibattiti, loro parlavano sempre. Le donne si affannavano ai negozi dei primi saldi con fare frettoloso, un costumino “due pezzi o intero?”, un completino da spiaggia e vai, le testoline bitumate apparivano e scomparivano tra i sacchi di stracci. Io sapevo che il terrorismo non era morto con l’alleanza storica tra comunisti e democristiani, anzi poteva comparire più feroce di prima, le cosche partitiche non avrebbero mai mollato l’osso, il potere voleva scherani fedeli.

E così è stato: i cani fedeli erano lì, nascosti tra le pieghe di tutti i partiti, pronti ad azzannare chiunque volesse tentare di cambiare sistema e filosofia sociale. Questi pensieri si affollavano frementi nella mia testa calda sulla piazza davanti alla stazione e a quell’orologio fermo sulle 10.25. Le ambulanze arrivavano e ripartivano, un autobus, il 37, trasformato in obitorio ambulante. Pensai allora che il mio mestiere era inutile e stupido: che cosa vuoi raccontare? Nessuno ti ascolta, nessuno ti legge. Pensai che forse avevo una sola via d’uscita: lasciar perdere la cronaca, il giornalismo e tornare alla poesia, il mio primo amore. Non servì molto: il 2 agosto dell’anno successivo un giudice massone mi rinviò a giudizio per calunnia nei confronti della magistratura bolognese, poi, dopo una trattativa, ritirò il malfatto, ma compresi che nemmeno la poesia era gradita al potere costituito. I magistrati più coraggiosi continuarono a essere perseguitati da colleghi signorsì, l’inchiesta che avevano avviato e che forse avrebbe potuto portare ai mandanti venne archiviata, nessuno andò mai ad approfondire le ragioni dell’assassinio del giudice Amato a Roma, il quale aveva infilato il coltello dove non avrebbe mai dovuto. Morto, ammazzato. Questa è l’Italia fascista che non è mai morta.

Oggi al Parco 2 Agosto di San Lazzaro di Savena, a partire dalle 18.30, il libro di poesie ‘Antologia per una strage. Bologna 2 agosto 1980’ (Minerva edizioni) di Gian Pietro Testa sarà protagonista insieme all’autore di percorso per ricordare le vittime della strage alla stazione di Bologna.

TERRORISMI. IL DOSSIER SETTIMANALE N. 9/2017 – Leggi il sommario

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