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20 Dicembre 2013

Quando i bambini non fanno “oh”

Tempo di lettura: 5 minuti


bambini-stadio

Osteoporsi: è una condizione per cui lo scheletro, a seguito di una significativa perdita di massa ossea causata da fattori nutrizionali e/o metabolici, è più fragile e poroso e quindi più soggetto al rischio di fratture.
Calcio: è il sale minerale più rappresentato nel corpo umano, soprattutto nello scheletro. È anche un gioco fra due squadre di undici giocatori che cercano di calciare un pallone dentro la porta avversaria.
Non mi pare esistano ricerche scientifiche che finora abbiano messo in relazione l’osteoporosi, o altre malattie a carico delle ossa, con la scarsa assunzione di calcio da parte degli esseri umani… almeno di quel calcio, inteso come gioco di squadra.
Sto cominciando a credere però che un apporto quotidiano sovrabbondante di “quel” calcio possa creare, in molti soggetti, vari tipi di dipendenze e manifestazioni patologiche; ad esempio: infiammazione del linguaggio, incontinenza dei toni, ipertensione emotiva, insufficienza cronica del rispetto, pigrizia critica volgare fino ad arrivare alla frattura dei freni inibitori, all’arresto dell’oggettività e alla conseguenza dell’ultimo “stadio”: la stupidità congenita.

Devo premettere ancora una volta un mio limite: osservo le questioni di sport da un retroterra rugbistico e quelle di calcio, in particolare, da un punto di vista “Internazionale”.
I fatti a cui intendo riferirmi sono questi: la Federazione Italiana Gioco Calcio ha deciso di far chiudere le curve degli stadi i cui tifosi si siano resi responsabili di cori offensivi o razzisti ai danni dei giocatori o dei tifosi avversari.
È successo a varie squadre ed ultimamente anche alla Juventus.
La blasonata società bianconera ha pensato bene di rimediare a tale danno invitando i bambini a riempire le curve, lasciate libere dai tifosi.
I bambini, come sanno bene coloro che si occupano di pubblicità, suggeriscono tenerezza, rimandano un’idea di candore, di spontanea ingenuità, di bellobuonogiustopulito.

Ebbene la prima partita con oltre dodicimila bambini in curva nord è stata Juventus Udinese del primo dicembre 2013.
Riporto un breve articolo dal giornale del giorno dopo:
“Ammenda di 5 mila euro alla Juventus per i cori dei giovani tifosi di domenica nel corso del match contro l’Udinese. Lo ha deciso il Giudice sportivo esaminando le gare dell’ultimo turno. La società bianconera paga «per avere suoi (giovanissimi…) sostenitori rivolto ripetutamente ad un calciatore della squadra avversaria un coro ingiurioso». I bambini hanno più volte urlato «Merda!» all’indirizzo del portiere dell’Udinese Brkic.”

La cosa non sembra aver interessato molto né i giornali sportivi e nemmeno la società bianconera che ci ha riprovato domenica scorsa, 15 dicembre, insistendo sui bambini.
Riporto uno stralcio dal giornale del giorno dopo:
“I 5000 euro di multa dopo Juventus-Udinese non sono serviti: anche contro il Sassuolo non sono mancati i cori “Oh… Mer-da” dei baby-tifosi juventini all’indirizzo del portiere avversario. Al primo rilancio dal fondo di Gianluca Pegolo, dalla curva nord (quella degli adulti) si è levato il coro. Al suo secondo rilancio si sono uniti anche i bambini, dalla sud. E così si è continuato, sebbene il clima non sia stato teso, quasi ad ogni rilancio, anche dopo il gol di Tevez”.
Massimo Gramellini su La Stampa all’indomani di Juventus Udinese si chiedeva ironicamente: “Ma da chi mai avranno imparato, le creature innocenti, a irridere il rivale anziché applaudirlo calorosamente? ”
Non voglio usare il mio punto di vista “Internazionale” e credo che ciò che è successo a Torino avrebbe potuto succedere anche ad altre società (ma è ovvio che chi vuol far crescere una sana cultura sportiva, deve cominciare a coltivare bene certi Campus).
Non voglio neanche entrare nel merito delle decisioni della giustizia sportiva che sceglie di chiudere le curve degli stadi per cori offensivi o razzisti dei tifosi…. anche se mi scappa da immaginare che, se la stessa sanzione venisse applicata in Parlamento, i banchi della Lega Nord sarebbero spesso vuoti e senza dubbio quello del deputato Gianluca Buonanno sarebbe perennemente deserto.

Visto che anche lo sport è veicolo di valori mi interesserebbe conoscere, da chi si occupa di calcio, la propria opinione sulla frase del pedagogista Bruno Ciari: “È assolutamente superfluo dire che la formazione di attitudini e di valori etici non può derivare dal verbalismo predicatorio, dai racconti edificanti, dalle chiacchiere. Le attitudini, i valori etici, in quanto di natura pratica, non possono che nascere da un modo di operare e di vivere”.
Ho contribuito alla intitolazione della scuola in cui lavoro a Bruno Ciari pertanto conosco e mi riconosco nel suo pensiero.
Vorrei sapere però se, ed in che modo, le società calcistiche si pongano il problema della trasmissione di certi valori sapendo che stiamo vivendo in una società spietatamente competitiva e ciecamente egoista; come affrontano il tema del tifo (per la propria squadra e basta o anche contro l’altra?), della correttezza (solo in campo o anche fuori?), del rispetto (dei propri compagni o anche dell’avversario, dell’arbitro, degli spettatori), della competizione (il sano agonismo o le simulazioni e le furbizie?), del modello sociale che lo stereotipo del calciatore professionista rappresenta (veline, fuoristrada, creste e tatuaggi oppure serietà, impegno e solidarietà?).

Di ciò che è successo a Torino ne abbiamo parlato in classe e, dopo una lunga discussione comune, gli alunni di quarta elementare pensano che quei bambini in curva a Torino abbiano usato le “parolacce”: perché si credevano più forti se le dicevano in tanti, per infastidire il portiere avversario, perché erano “gasati” e volevano vincere, per far perdere la concentrazione al portiere, perché erano arrabbiati, per far arrabbiare gli altri, perché gli altri imbrogliavano, perché gli altri facevano i falli, perché le sentivano dai grandi, per sfogarsi, perché avevano finito la pazienza, perché erano arrabbiati per altri motivi, per fare “scena”.

I bambini poi pensano che una parolaccia sia: una brutta parola, una parola che offende, un modo volgare di parlare, un insulto, un modo per prendere in giro gli altri, un’offesa contro gli altri per qualcosa che hanno detto, fatto o che rappresentano, una protesta, una parola non piacevole, una parola per far arrabbiare, una parola che vuole ferire, una cosa brutta sugli altri per farli piangere, un pensiero che fa dispiacere.

In conclusione, a loro sarebbe piaciuto molto giocare in quello stadio ma non avrebbero affatto gradito quel coro offensivo.
Nonostante la mia età, non sono così demodè da non ricordare che il bisogno di emulare i grandi c’è sempre stato e sempre ci sarà (anche se non ricordo che quando giocavano a pallone da piccoli, per le strade o nei campetti, qualcuno di noi indossasse il sospensorio sopra alla maglia per assomigliare a Jair); quello che però è cambiato nel tempo è il contesto sociale di riferimento.
In questo contesto, io penso che certi valori, se ci si crede, occorre praticarli con pazienza, lentezza, dedizione e convinzione.

Non bisognerebbe invitare appositamente i bambini allo stadio per far sembrare pulito quell’ambiente se, in realtà, si chiede loro di esserci per nascondere lo sporco sotto al tappeto.
Non bisognerebbe farlo perché altrimenti gli si insegna l’ipocrisia.
Non bisognerebbe farlo perché poi i bambini, imparando quello che vivono, non mentono.
Solo con un ottimo impegno ed un buon investimento in istruzione ed in educazione, da parte di tutti coloro che ci credono e che si ritengono interessati, si possono cominciare a fare davvero certi tipi di pulizia.

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Mauro Presini

È maestro elementare; dalla metà degli anni settanta si occupa di integrazione scolastica degli alunni con disabilità. Dal 1992 coordina il giornalino dei bambini “La Gazzetta del Cocomero“. È impegnato nella difesa della scuola pubblica. Dal 2016 cura “Astrolabio”, il giornale del carcere di Ferrara.


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